Gli amori di Anaïs – Recensione
Che bel film che è Gli amori di Anaïs. Uno di quei film indimenticabili, squisitamente europei, dei nostri cugini d’oltralpe. Abbiamo in comune con il cinema francese questa capacità di raccontare chi vive la vita giorno dopo giorno, senza un lavoro, senza alcuna certezza al mondo se non l’aria nei polmoni.
Il cinema italiano è gremito di queste anime affamate di vita, che non hanno di che vivere in un mondo in cui bisogna necessariamente lavorare, mettere su famiglia, essere l’uno uguale all’altro, in una massa indistinta, omologati e allineati ad un modello standardizzato, che secondo molti fa la felicità. Ma a loro, a questi amanti del caso, non interessa. Vogliono farsi sorprendere, prendere quello che viene senza lasciarsi turbare troppo dagli eventi. Chiudere gli occhi e godersi il sole sulla pelle, senza pensare a quello che si dovrebbe essere o a quello che gli altri si aspettano da loro. Così è Anaïs.
E quando uno ha come unica bussola il cuore, allora può davvero capitare di tutto, ma nulla che sia nella norma o in qualche maniera prevedibile. Così, Anaïs passa da una relazione all’altra, da una casa all’altra, da un’emozione all’altra, finendo col vivere avventure straordinarie che mutano l’intero corso degli eventi. Allora, Charline Bourgeois-Tacquet, regista di questo piccolo capolavoro, suo film d’esordio, per rendere visivamente questa ragazza in perenne movimento, questa overthinker incallita, adotta (specie nelle scene in casa sua) dei piani sequenza, riprendendo questa infaticabile trent’enne mentre si dirige da una parte all’altra, da una stanza all’altra, straparlando e muovendo ogni oggetto a disposizione, facendo domande impreviste al suo interlocutore.
Sembra quasi di assistere alla scena di Storia di un matrimonio, nella quale Scarlett Johansson si sposta da un punto all’altro del suo appartamento, parlando e facendo altre mille cose nel mentre, sempre in piano sequenza. L’attrice di Anaïs, che si chiama Anaïs Demoustier, è di una bravura straordinaria nell’interpretare un ruolo del genere. Un personaggio emblematico, simbolico e che incarna l’oggi meglio di un manuale di sociologia. Precisamente rappresenta la generazione degli ultimi Millennial o i nati della generazione Z, quelli che hanno vissuto le crisi, la perdita delle certezze, che hanno visto la situazione peggiorare con il covid e allora, privi di lavoro, guida, certezze cui aggrapparsi, hanno deciso di rompere del tutto con le convenzioni. Hanno scelto di essere fedeli a loro stessi, di vorticare come trottole. Che sia il vento a decidere dove devono andare.
Ed è esattamente in questo modo che si danno la possibilità di sorprendersi, innamorarsi, scoprire se stessi e il mondo, esplorare parti di sé che neppure credevano di possedere. E quando una persona si lascia semplicemente andare, tutto va per il proprio corso e perfino l’amore, che dava non pochi problemi, si presenta esattamente come dovrebbe, nei panni di una dolcissima quanto sorprendente scrittrice di nome Emilie (Valeria Bruni Tedeschi), che sentiamo nominare così tante volte che, come la nostra protagonista, l’adoriamo ancora prima di incontrarla. Questo senso di trepidante attesa di un personaggio è stato un mio chiudo fisso per molto tempo e ne ho parlato in un paio di articoli (qui e qui).
Che bello Gli amori di Anaïs, insieme a tutti quei film che ci insegnano ad inseguire noi stessi e noi stessi soltanto. Belli perché rappresentano la risposta a tutti i nostri interrogativi. Anaïs domanda sempre a chiunque il perché le sue relazioni falliscano miseramente e se è o meno in grado di amare. Alla fine, capisce che è normale che non vada sempre tutto bene. Deve solo tentare e ritentare, magari iniziando a rintracciare dentro di sé ciò che cerca al di fuori: sicurezza, affetto, rispetto, amore, per l’appunto. Quando siamo sereni con noi stessi ogni relazione migliora, tutto va da sé. Per il resto, lasciamo che il caso meni a buon fine tutte le cose, senza intralciarne il corso.
Trovate Gli amori di Anaïs su Mubi.
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