Gigi la legge – Alessandro Comodin – Recensione di un bel prodotto nostrano

Gigi la legge – Recensione

GIGI LA LEGGE è un film incredibile di Alessandro Comodin, vincitore del premio della giuria al Locarno Film Festival. Lo spettatore lo può ben comprendere addirittura dalla prima scena.

Cioè, dal primissimo dialogo tra questo vigile annoiato ma felice e un vicino, in mezzo a questa bolgia di piante. In una tale selva, in questa giungla verdeggiante, del vicino si sente unicamente la voce e per un bel po’ di minuti lo spettatore continua a vedere quello che potrebbe essere un fermoimmagine, se non fosse che il nostro Gigi (Pier Luigi Mecchia) si muove e, insieme a lui, le foglie delle piante alte e folte. Il dialogo è importante per avere un primo importante indizio su come vada interpretato il film: il vicino vuole che lui tagli le piante, ma il vigile proprio non vuole. Il vicino gli sottopone dei problemi oggettivi, per esempio che quella piantagione attira insetti e topi, ma Gigi proprio non sente ragioni.

Fanno l’ossigeno per teste di cazzo come voi, le mie piante!” e seguita a difenderle, a difendere se stesso, la famiglia (accusata di essere strana e di non mantenere gli accordi) e, ancora una volta, le sue piante, che sono un po’ come un elemento diverso e unico, in giornate sempre uguali, sempre monotone. In un luogo di campagna, un paesotto, nel quale non cambia mai niente e i giorni si trascinano, sempre allo stesso modo, da non si capisce quanti anni. Eppure, sono anche qualcosa entro cui nascondersi, un modo per cessare di vedere quello che accade fuori e dentro di noi.

E, poi, arriva la svolta…

Finché, poi, qualcosa non muta sotto al sole, con il ritrovamento di un cadavere. Un cambiamento, però, che non è subitaneo, ma si confonde tra i tanti eventi meno degni di nota che si verificano durante il pattugliamento delle strade. E poi c’è questa nuova collega, questa giovane nuova collega di cui tutti parlano al nostro Gigi, ma di cui lui conosce l’esistenza solo grazie alla voce, a quella voce robotica ma sensuale che gli giunge all’orecchio attraverso l’autoparlante, mentre lui pattuglia le strade.

Questo espediente a me fa proprio impazzire. Questo nominare e rinominare qualcuno, attendere che si faccia finalmente vedere. Avvertiamo il palpabile senso di attesa del protagonista e lo proviamo a nostra volta. Poi, la vediamo finalmente e possiamo o rimanerne incantati oppure sperimentare lo stesso rammarico degli abitanti del paesino ove Lucia e Renzo vanno a vivere da sposati, che si aspettavano che Lucia fosse chissà che matrona statuaria, chissà che eterea ninfa per aver provocato tutto quell’ambaradan e, invece, è una ragazza come tante. Chissà, questo è soggettivo. Però di questo felice trucchetto narrativo – l’attesa di un personaggio chiacchieratissimo, che si lascia desiderare – ho già scritto qualcosa in questo articoletto. Sempre che questa fantomatica Paola non sia una chimera, un sogno nel sogno.

Eppure, al di là di questo particolare, è davvero bello vedere come si evolva questa conoscenza (vera o presunta) tra i due, come nasca questa intesa “telefonica”, onirica si può dire. D’altronde, è impossibile non notare come tutti gli eventi siano tenuti insieme da questo realismo magico, da questo senso di stupore e di meraviglia che muove ogni personaggio, atipico e insolito un po’ come la quiete che aleggia in questo paesino. E sopra tutti c’è Gigi, che pare inizialmente così calato in questa realtà e andare così d’accordo con ogni suo membro, ma che invece ha l’ingrato compito di strappare il velo di Maya che lo attornia e chissà che quella ragazza, trovata morta sui binari, non serva proprio a questo.

A diluire la nebbia, a cancellare il sogno e a rivelare finalmente quello che si nasconde dietro un tale quadretto rurale. A rivelare un’insolubile solitudine nella quale ognuno versa, ciascuno nella sua fitta foresta.

Insomma, Alessandro Comodin, regista di L’estate di Giacomo e I tempi felici verranno presto, ha confezionato un film che merita ogni ovazione e certamente più di una visione. Un’elegia che vi invito a non sottovalutare, ma di cui dovete rispettare il delicato flusso, finché tutto (forse) non vi sarà svelato.

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Nasce nella provincia barese in quel del '94 con l'assoluta certezza di essere Batman. È in grado di vedere sette film al giorno e di finirsi una serie tv in tempi sovrumani. Peccato che abbia anche una vita sociale, altrimenti adesso sarebbe nel Guinness dei primati...