Un paio di parole su Padrenostro, film di Claudio Noce. E soprattutto sull’interessante espediente di origine teatrale che è stato utilizzato dal regista. Una tecnica antica, che intende accrescere la tensione dello spettatore e il suo senso di attesa del protagonista o del personaggio.
Premetto che nel corso dell’articolo potreste trovare qualche spoiler, ma sono certa che mi perdonerete perché il tutto è finalizzato alla spiegazione di quello che potremmo considerare l’ingresso ritardato del protagonista o, comunque, di uno dei personaggi principali. Ricominciamo dall’inizio. Nella oramai passata settantasettesima edizione della Mostra del Cinema di Venezia (parlo del lontano 2020), tra i film proposti uno dei più interessanti è stato un prodotto nostrano, cioè Padrenostro di Claudio Noce. Un film parecchio atteso proprio perché poteva vantare la presenza di Pierfrancesco Favino che, ormai, dà valore aggiunto ad ogni pellicola di cui faccia parte.
Un valore, spesso, corrispondente ad un premio, come la Coppa Volpi della quale è stato insignito a Venezia, proprio per il film in questione. Il regista ha deciso di parlare di una vicenda che ha vissuto in prima persona, ma che riguarda l’Italia intera, da qui anche il titolo. Infatti, la storia è incentrata su suo padre, il vicequestore Alfonso Noce, e sull’attentato alla sua vita, risalente al 14 dicembre 1976. Il vicequestore si è salvato ma uno dei suoi aggressori è morto.
Il figlio/ regista e l’attesa del padre
Il dramma è vissuto in prima persona dal figlio Valerio e, per l’intera prima parte del film, è attraverso gli occhi del bambino che apprendiamo la realtà. Perciò, ci affidiamo alla sua visione dei fatti, parecchio parziale e confusa, e siamo alla ricerca, proprio come il ragazzo, di risposte sulle condizioni del padre, ma anche di ragguagli sulla sua identità. Inseguiamo un fantasma, lo agogniamo e l’attesa è accresciuta dalle parole che sentiamo sul suo conto. Spesso le versioni non coincidono e questo accresce ulteriormente il nostro bisogno di verità. Lo spettatore vive una duplice sensazione: da una parte ha un bisogno diegetico da soddisfare, dall’altra un bisogno extradiegetico.
Il bisogno diegetico ed extradiegetico dello spettatore
Innanzitutto, chiarisco che il termine diegetico fa riferimento al film, cioè riguarda la narrazione interna al film. Il bisogno diegetico che ha lo spettatore è di vedere il padre entrare in scena e scoprire la verità. Il suo bisogno extradiegetico, quindi esterno alla trama, è vedere finalmente l’attore che lo interpreta, la star. Eppure, il nostro bisogno, che crescerà pian piano, sarà soddisfatto solamente a film inoltrato, mettendo in scena questo espediente furbo, conosciuto dai registi teatrali, di cui parlerò nel prossimo paragrafo.
L’ingresso ritardato del personaggio
Quello che Noce nel film Padrenostro ha adoperato – e che non si trova spessissimo in un film, almeno non eseguito in questo modo – è una precisa tecnica teatrale, uno stratagemma che è stato ben collaudato nel corso dei secoli e che ha un’origine antica. L’obiettivo di questa tecnica è quello di tenere sulle spine lo spettatore, così come il lettore, al fine di aumentare il suo interesse nei confronti di un personaggio. Specie se si tratta di colui o colei che dà il nome all’opera letteraria, teatrale o cinematografica che sia. Un espediente, dunque, ben preciso, che dà la possibilità a noi moderni di sperimentare una chiara tecnica narrativa e diegetica che ha avuto origine proprio lì dove è nato il teatro: ad Atene.
Da Atene ad oggi
Torno parecchio indietro, ma prometto che sarò veloce. Uno dei primissimi casi in cui si è adoperata questa strategia è nell’Agamennone di Eschilo, in cui il re di Argo giunge in scena all’ottocentesimo verso. Sempre nell’ambito della tragedia greca, abbiamo l’Edipo Re di Sofocle, con il coro che entra in scena domandando al re di presentarsi per mettere fine alla peste a Tebe. Anche in questo caso, Edipo è richiesto, ma non entra subito in scena. Nel teatro di Shakespeare che non entri subito Re Lear ci permette di scoprire la cattiva opinione che hanno su di lui i sudditi e le figlie. Stessa cosa nel Tartufo di Moliere. Vi sono tantissimi casi analoghi, ma un altro davvero interessante è in Anna Karenina di Tolstoj in cui la donna fa il suo ingresso dopo la centesima pagina e così Gatsby a metà romanzo.
Il lettore, come il personaggio, sente crescere la sua curiosità e la vedrà soddisfatta molto ma molto tardi. Più tardi di quanto immagina, ma quel momento non sarà casuale. Perché sarà l’attimo in cui all’attesa si sarebbe sostituita l’esasperazione. A quel punto, nel caso di Noce, lo spettatore è pronto ad affrontare la seconda parte del film. Anche se meno piacevole e intelligente della seconda.
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