La hija de todas las rabias – Il realismo magico – Recensione

La hija de todas las rabias – Il realismo magico – Recensione

Torniamo al Festival del Cinema di Torino, che ho velocemente nominato nel precedente articolo (e cioè quello su Nagisa) e continuiamo a parlare di lungometraggi, proseguendo con un’altra opera prima e cioè, come recita il titolo di questo caro articolo, La hija de todas las rabias (tradotto in inglese Daughter of Rage).

Siamo nel 2021, un anno particolare per tante ragioni, specie per una riformulazione di valori che sta caratterizzando l’interna cinematografia mondiale, e siamo dinnanzi ad un dramma nicaraguese. La sua regista, Laura Baumeister de Montis, ha confezionato un film estremamente interessante e che, per tantissime ragioni, noi non possiamo apprezzare fino in fondo. Dico “noi” per parlare di Occidentali, noi fruitori di cinema occidentale, noi affezionati ad un cinema di parole, noi ancorati ad un cinema coerente, razionale, dove ogni nodo giunge al pettine dello spettatore, in cui ogni mistero viene svelato all’interno del film in maniera logica, sempre e rigorosamente con razionalità. Sarà per questo se un film del genere, caratterizzato dal realismo magico, noi suddetti non riusciamo proprio ad apprezzarlo fino in fondo.

Sono certa che qualcuno dei miei lettori (mi immagino che avvenga lo stesso fenomeno dei I promessi sposi e che da qualche ciuffetto di lettori spauriti si passi alle folle di entusiastici fan)  saprà già cosa sia il realismo magico. Magari avrà letto L’amore ai tempi del colera oppure, meglio ancora, Cent’anni di solitudine, oppure dei libri di Isabel Allende, insomma quella letteratura tipica dell’America Latina. Però, per chi non lo sapesse, si tratta di una tecnica pittorica e letteraria che mira a raccontare la realtà, ma inserendovi l’elemento magico, l’elemento meraviglioso. La realtà, quindi, non è semplicemente quello che si vede, ma ha sempre un alone di sogno, come se i confini tra realtà e fantasia non fossero mai nitidi, definiti, come se ogni azione fosse sempre da ricondurre ad una dimensione altra.

C’è un libro scritto da Massimo Bontempelli, che si chiama Realismo magico e altri scritti sull’arte, che consiglio caldamente a chi voglia conoscere il realismo magico, specie all’interno della storia dell’arte (che ha per forza di cose un maggior peso nel cinema, perché si parla sempre di immagini). Lo studioso chiarifica soprattutto che “la magia non è soltanto stregoneria: qualunque incanto è magia. Forse l’arte è il solo incantesimo concesso all’uomo e dell’incantesimo possiede tutti i caratteri e tutte le specie: essa è evocazione di cose morte, apparizione di cose lontane, profezia di cose future, sovvertimento delle leggi di natura, operati dalla sola immaginazione“. Attraverso l’incanto, il realismo magico si fa tecnica cinematografica e rappresenta una realtà sospesa, quasi irreale. Il che non significa raffigurare e raccontarne solo gli aspetti più lusinghieri, tralasciandone l’orrore, ma favorire una narrazione con una logica a sé, come se i personaggi esistessero e agissero all’interno di un sogno. E, dopotutto, la nostra vita non è solo un sogno?

Ma, arriviamo al punto. Il realismo magico è il grande motivo per cui non è stato compresa fino in fondo questa preziosa pellicola. Vi invito a fare un giro su internet e a leggere un paio di recensioni. Noterete due grandi critiche che vengono fatte a questo film: sulla prima posso anche concordare, ma sulla seconda assolutamente no. La prima critica che si rivolge a questa pellicola è che non sia originale. Ora, è vero, la vita come discarica, la lotta di una bambina per la sopravvivenza, il viaggio alla ricerca della madre non sono certamente elementi originali, ma il punto è il come vengano resi. E arriviamo alla seconda critica: manca di coerenza e risulta poco credibile. Lettore e lettrice miei, ma se si tratta di realismo magico perché pretendere quello che andrebbe richiesto ad uno dei soliti film che vediamo sulle varie piattaforme o, quando ci va bene, al cinema? La mancanza di contorni definiti, la dimensione quasi atemporale e apolitica dell’epoca, nella quale vivono e operano i personaggi del film, è una caratteristica fondamentale di questa tecnica narrativa. Si deve vedere tutto ciò che è al di fuori della storia come una cornice simbolica.

Piuttosto ad emergere è l’odissea di una bambina, abbandonata dalla madre, che cerca in tutti i modi di farsi strada in un mondo a lei avverso, in una sorta di giungla, tra delinquenza e povertà, solo per ritrovare in mezzo all’immondizia (metafora dell’esistenza di molti) sua madre, una guida, una salvezza. Quello che davvero andrebbe elogiato e messo in rilievo è la potenza di questa bambina, di una giovane donna che in un mondo popolato di uomini, che hanno reso infernale la vita sua e quella della madre, riesce a trovare il proprio spazio, a fronteggiare le avversità e a fare pace con la solitudine e con il greve ricordo di colei che l’ha messa al mondo. Una madre che nella mente di quella giovane bambina, di quella indomata e indomabile leonessa, ha assunto fase dopo fase le sembianze di un felino, i connotati della sola creatura che può sperare di vincere nella giungla. Questa bambina, la figlia di tutte le rabbie, sa che in un mondo che mangia e divora i deboli può solo sperare di trovare brevi e fugaci momenti di gioia, attimi durante i quali dimenticare le lezioni apprese tanto duramente e abbandonarsi al sonno, come tra le braccia della madre.

Trovo straordinario che questo film, una storia introspettiva raccontata da una donna di straordinario talento, seppur con un linguaggio diverso dal nostro per lontananza geografica e cultura, si inserisca perfettamente nel grande cinema contemporaneo, con la sua dimensione femminile (che sta dominando, com’è giusto, il panorama culturale mondiale) e con quel rovesciamento simbolico del complesso di Telemaco, che ci consente di vedere questi figli smarriti ritrovare la strada e perdonare coloro che li hanno abbandonati, riuscendo, nonostante l’enorme dolore che serbano dentro di sé, a perdonare i loro stessi genitori, a fare pace con il loro ricordo e a non provare più rancore. La hija de todas las rabias è un film che forse non meritava premi in questa quarantesima edizione del Festival del Cinema di Torino, ma a cui dobbiamo tutto il nostro affetto.

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Nasce nella provincia barese in quel del '94 con l'assoluta certezza di essere Batman. È in grado di vedere sette film al giorno e di finirsi una serie tv in tempi sovrumani. Peccato che abbia anche una vita sociale, altrimenti adesso sarebbe nel Guinness dei primati...