Boris 4 – Recensione – Disney+

Boris 4 – Recensione – Disney+

L’attesissima nuova stagione di Boris è arrivata su Disney+ il 26 Ottobre, dissipando ogni dubbio dei fan sulla riuscita della serie. A dispetto delle vecchie parole di Renè Ferretti, le otto puntate dimostrano come “la qualità NON gli ha ancora rotto il ca**o!”

Boris 4 – La Trama

Sono passati dieci anni da quando abbiamo lasciato la troupe di Boris, che ora non lavora più per la Rete ma per una piattaforma streaming internazionale. La nuova serie da girare è “La vita di Gesù“, idea del presuntuoso Stanis LaRochelle, che ne è non solo il protagonista ma anche il produttore. Stanis e sua moglie Corinna, hanno riunito la vecchia squadra de “Gli occhi del cuore“, che fatica notevolmente a destreggiarsi tra le regole della piattaforma e il terribile Algoritmo.

“Passione ci vuole, passione!” – Sergio Vannucci

La paura, dopo aver scoperto che sarebbe uscita la quarta stagione di Boris, era tanta. Dobbiamo ammetterlo.

Siamo tutti a conoscenza di quanto possono essere distruttive le ulteriori stagioni di una serie, tirate fuori più per lucrare di un’opera che ha un ingente seguito, che per il bisogno di raccontarci ancora qualcosa. E questo discorso non vale solo per le serie.

Questo non è il caso di Boris. La serie ritorna col botto, rendendo giustizia alle precedenti stagioni. Un lavoro realizzato ad arte e con passione.

Dopo un decennio, Boris ci mostra il cambiamento della serialità, non più solo italiana ma internazionale. Infatti, se nelle precedenti stagioni ci ha divertito sfottendo in maniera cinica e spietata il modo di fare televisione in Italia, nella quarta esce fuori dallo stivale per coinvolgere il mondo.

Oggi sono le piattaforme streaming a tenere le redini dei film, ma soprattutto delle serie. Sono i famosi e qualificati americani a gestire i prodotti di intrattenimento che guardiamo ogni giorno.

Un bel cambiamento che presuppone un aumento di qualità nella serialità italiana, no? No.

“Mamma mia, la monnezza!” – Renè Ferretti

Boris in questa nuova stagione ci racconta come, nonostante il cambio di regime, le cose rimangono sempre uguali. Nelle stagioni precedenti era la Rete a fornire disposizioni sulla creazione de “Gli occhi del cuore” chiedendo, ad esempio, di inserire forzatamente scene che fungono da spot anti-droga, di sensibilizzazione e linee comiche. Raccomandazioni e mazzette, miseri fondi per la produzione, troupe e cast ignoranti, un lavoro “a cazzo di cane”, erano gli ingredienti che rendevano “Gli occhi del cuore” una serie “demmerda”.

Ed ora, con la piattaforma al comando, le richieste sono diverse ma ci sono ancora. La nuova serie “La vita di Gesù“, per ottenere l’approvazione dell’Algoritmo, deve avere al suo interno un amore teen, un trauma infantile per il protagonista, e una scena che promuove il femminismo. C’è bisogno di una troupe più inclusiva, che al suo interno vanti membri LGBTQIA+. Gli attori poi devono essere di etnie differenti, meglio se coreani. Per citare Zoolander, i coreani “vanno un casino quest’anno!”.

Tematiche importanti vengono trattate come una lista di cose da fare a cui basta mettere una spunta.

La serie ironizza sul politically correct. Ci viene mostrata l’ipocrisia di come sono strumentalizzate le minoranze che, invece di conferirgli dignità e riconoscimento, in questo modo le si ridicolizza.

Alcune scene sono difficili e costose da girare e per questo la soluzione è estremamente semplice, basta che “Lo dìmo”.

Cambiano le richieste, ma le regole del gioco rimangono le stesse.

“Thank you for being so not italian” – Stanis LaRochelle

Boris 4 si prende gioco dell’idea che siano sempre gli americani a creare prodotti di qualità, carichi di significato e capaci catturare il nostro interesse. L’ammirazione verso di loro ci porta a desiderare di far parte anche in minima parte di quel mondo. Per ottenere la loro approvazione siamo disposti ad adattarci a ciò che fa tendenza, come i coreani citati prima, i superpoteri, e i teen drama.

L’obbligo di seguire determinati schemi non fa altro che omologare le serie, rendendole senz’anima.

Si finge di essere come gli americani incorporando esageratamente il loro linguaggio al nostro. Un linguaggio che ormai viene considerato giovanile e universale.

La troupe di Boris, definita ormai obsoleta, deve destreggiarsi tra “call”, “lock” dell’algoritmo, il “ghost” del personaggio, “authenticity” e “inclusion”. Parole altisonanti che si pensa rendano più autorevoli. Come nel caso di Alessandro, che da “stagista schiavo” è diventato il Responsabile della Piattaforma per l’Italia.

“Ah bello, io fra sei mesi sò la Ferilli, hai capito?!” – Corinna Negri

La serie è ottima sotto molti punti di vista. Scherza ferocemente su piattaforme streaming ipocrite, serie convenzionali, rappresentazione delle minoranze, e sulla corruzione. Ci riporta le vecchie citazioni a cui siamo affezionati e ne aggiunge di nuove, come “Merdu”, “Ce lo includiamo a passo di carica”, “Non so Gifuni, so Favino. 15 ore di trucco” e tante altre. Ritornano i grandi attori che hanno reso Boris un capolavoro, anche se con qualche personaggio in meno e altri nuovi.

E’ proprio la rappresentazione di questi personaggi che in alcuni momenti non eccelle più di tanto. La rappresentazione di Stanis e Corinna, dopo dieci anni che non li vediamo, è quella che preferisco. Il primo, divenuto sempre più egocentrico e fastidioso, e per questo ancor più divertente. La seconda, sempre in preda alle sue scenate emotive, si libera quasi dell’appellativo “cagna maledetta” dimostrando, quando le serve, buone capacità recitative.

Renè, l’artista sognatore imprigionato dalle regole della piattaforma, desidera ancora fare qualcosa di qualità e si riscopre un Giuda del suo tempo.

Ad essere un po’ più deludenti sono Arianna, Lalla e Alessandro. Se durante il lavoro sul set funzionano tutti molto bene, ci vengono mostrati dei retroscena con questi personaggi che dovrebbero servire a caratterizzarli, ma che risultano scialbi e insufficienti.

“Genio!” – Renè Ferretti

A comparire più spesso in questa stagione rispetto alle precedenti, sono i tre sceneggiatori. Le ragioni sono ovvie, visto che questa stagione è un omaggio a Mattia Torre, uno degli sceneggiatori di Boris che è venuto a mancare nel 2019.

I tre sceneggiatori de “Gli occhi del cuore” altri non sono che gli sceneggiatori di Boris, Giacomo CiarrapicoMattia Torre e Luca Vendruscolo. Per tutto il tempo, nonostante la mancanza di uno di loro, resta in realtà sempre presente agli occhi degli altri due, aiutandoli e supportandoli.

La dedica che gli viene fatta è davvero commovente e resa in maniera impeccabile.

Tutti e tre hanno svolto un ottimo lavoro, rendendo questa quarta stagione meritevole di proseguire la storia di Boris, di essere vista e apprezzata.

Se vuoi rimanere aggiornato sulle ultime news e sulle ultime novità dello store, non dimenticare di seguirci su Instagram (Nerdream.itNerdream Store), Facebook e Telegram!
Battezzata da Dragonball, cresciuta dal Signore degli Anelli e sposata con i drama coreani. Per Vicky il cinema, le serie tv, i videogiochi, ed i giochi da tavolo sono i quattro pilastri che sorreggono la sua quotidianità, ravvivata dalle note del k-pop. Il suo superpotere? Inserire citazioni di Aldo Giovanni e Giacomo in ogni discorso, per questo "non importa che tu sia un armadillo o un pavone, l'importante é che se spoileri me lo dici prima. No, un attimo... Non era così... Miiii ma proprio io devo fare la voce fuori campo".