Introspezione psicologica, spiritualità e riflessione sul nostro tempo sono al centro di uno dei film più complessi e stratificati degli ultimi anni
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La trama
Chiaramente ispirato a Il Diario di un Curato di Campagna (Robert Bresson, 1951) e a Luci d’Inverno (Ingmar Bergman, 1963), First Reformed – La Creazione a Rischio (Paul Schrader, 2017) è incentrato sulla crisi identitaria e spirituale del reverendo Toller (Ethan Hawke), ex cappellano militare che, in seguito alla morte del figlio in Iraq e alla fine del suo matrimonio, si ritira nella prima chiesa riformata dello Stato di New York.
Nel tentativo di combattere la monotonia della routine quotidiana e di arginare la sua dipendenza dall’alcool, il pastore comincia a redigere un diario personale. Tale espediente gli consente di riordinare e di esprimere le proprie considerazioni tanto sulla sua esistenza quanto su questioni di ordine planetario.
Le vicende e i demoni interiori di Toller – che abbiamo modo di osservare dalla sua prospettiva grazie ad un uso sapiente del voice-over – si intrecceranno con la storia di Mary (Amanda Seyfried), una giovane donna che chiede aiuto al pastore per gestire una delicata situazione che la coinvolge in prima persona assieme al marito.
La frattura tra l’uomo e il pastore
La grande profondità psicologica che traspare dal personaggio di Toller è immediatamente percepibile dall’evidente frattura narrativa tra l’interiorità del protagonista e il suo ruolo di uomo di chiesa. Servendosi di una sceneggiatura impeccabile, di un uso sapiente del close up e di un aspect ratio di 4:3 che ben risalta la figura umana nell’inquadratura, Schrader riesce nel tentativo di mostrare in modo lampante la scissione identitaria e spirituale cui va incontro Toller, uomo devastato dal dolore della perdita e al tempo stesso pastore chiamato a difendere la fede e a guidare, in senso spirituale, la propria comunità.
La crisi esistenziale – giunta all’apice nel momento in cui le convinzioni di Toller vacillano dinanzi ai discorsi estremisti ed apocalittici dell’attivista ambientale Michael Mensana – condurrà il reverendo verso un nuovo modo di intendere la propria spiritualità.
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Le mal de vivre
Più che un film sulla religione o sulla fede, First Reformed è un viaggio nella psiche del reverendo. Questa è a sua volta chiara rappresentazione della condizione di solitudine spirituale sofferta dall’uomo contemporaneo, intrappolato e corrotto dai meccanismi della società post-industriale.
Pur essendo strettamente connesse all’ambito ecclesiastico, le vicende che coinvolgono Toller costituiscono le componenti essenziali di ciò che è in realtà un’acuta analisi di quel “mal de vivre”, di quel malessere esistenziale che è proprio del ventunesimo secolo e che ha tra le sue più immediate manifestazioni l’incapacità di comunicare con l’altro.
Proprio il pastore che dovrebbe essere voce della comunità all’interno e al di fuori di essa si ritrova smarrito in un mondo in cui è sempre più difficile far sentire la propria voce poiché tutto improntato su una logica di emarginazione, isolamento e solitudine. Il film si configura pertanto come rappresentazione simbolica della presa di coscienza a cui inevitabilmente ciascun uomo giunge: ogni individuo, sebbene viva in una forma di collettività relazionale, è condannato all’indifferenza più totale nei confronti dell’altro. Un’indifferenza che trova la sua massima espressione in un tema che fa sicuramente da innesco alla fase apicale dello smarrimento esistenziale del reverendo: il surriscaldamento globale, palese esemplificazione delle conseguenze che scaturiscono dall’incapacità degli uomini di compiere uno sforzo unitario al fine di superare una crisi comune.
L’affermazione dei propri ideali e il superamento della condizione di autoisolamento
L’arduo cammino intrapreso da Toller sembra orientare il protagonista verso l’individuazione di un’unica soluzione possibile, vale a dire la piena affermazione dei propri ideali. Questa assume i tratti di un’autoimmolazione, vero e proprio martirio in nome di un unico grande credo e sola via d’uscita dalla condizione di isolamento e di incomunicabilità.
Successivamente, il pastore finisce per accantonare l’idea del sacrificio di sé quale unica via verso l’affermazione del proprio io e l’uscita dalla condizione di isolamento e di incomunicabilità. A ridefinire in questo senso le sorti di Toller sono l’incontro e il dialogo con un’altra solitudine, quella di Mary. Con quest’ultima il pastore sperimenta il grado più profondo di intimità che possa esistere tra due persone: il contatto spirituale, mentale, metafisico tra anime che instaurano un legame talmente potente da elevarsi al di sopra delle leggi della gravità e dei limiti dell’esperienza sensoriale.
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Cifra stilistica e giudizio complessivo
La grande profondità e l’innegabile genialità di questo film emergono dall’evidente coerenza interna tra la condizione spirituale del protagonista e lo stile registico.
L’angoscia e lo smarrimento esistenziale di Toller sono infatti rese attraverso una regia estremamente asciutta e composta. Questa è poi supportata da una colonna sonora ridotta all’osso ma insostituibile nei momenti in cui la crisi del reverendo tocca le vette più alte. A ciò si aggiunge una fotografia intelligente che, giocando con tonalità e luci, restituisce allo spettatore continue istantanee della condizione interiore del protagonista.
Giudicando nel complesso l’opera di Schrader, appare dunque evidente la misura in cui tanto il comparto tecnico quanto la sceneggiatura e le tematiche trattate concorrano alla costruzione di un film dal grande spessore filosofico e dal forte impatto emotivo.
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