Enea – Pietro Castellitto – Recensione
E parliamo un attimo di Enea, il nuovo film di Pietro Castellitto, in questa che vuole essere un po’ un’analisi e un po’ una recensione. Me ne ricorderò anche in futuro e non perché sia indimenticabile. Anzi, ancora non ho capito dove volesse andare a parare. Eppure, so che le sue scene e, in generale, il ricordo di questo film si depositerà nella mia mente e lieviterà all’interno del mio apparato cardiovascolare.
Dunque, torniamo ad Enea. Sarà perché sto invecchiando e, ormai, queste riflessioni sulla vita e sul tempo che passa mi dilettano e coinvolgono particolarmente? Sarà la fine dei vent’anni – titolo, tra l’altro, di una bellissima canzone di Motta – a determinare l’inizio di una serie di riflessioni sul nostro (mio e del mio alter-ego) esistere. Ma perché parlare dei miei problemi esistenziali, quando c’è tutto un film di cui lamentarsi?
Tutto fumo e niente arrosto
Ammetto che c’è stato un pomeriggio in cui non avevo voglia di fare niente e che, alle 16:22, sono corsa al cinema con la pioggia che mi bagnava i capelli puliti. Sono entrata e ho chiesto quale fosse il film iniziato da meno tempo. Ahimè, era quello di Alessandro Siani. Allora, ho pregato la ragazza di non farmi buttare i soldi del biglietto e lei, mossa a compassione, ha velocemente pigiato i tasti del computer, comunicandomi che c’era il film di Castellitto. Ma sì, andiamo con il sottile scontrino in mano, fuggiamo lungo le scale e prendiamo posto all’interno della sala, in mezzo a vecchiette e vecchietti, frementi dalla voglia di avermi accanto a loro.
E, così, è iniziata la mia visione. La primissima scena cui ho assistito è quella di una nube di fumo che si spande per tutto lo schermo. Si tratta della migliore metafora per definire questo lungometraggio: tutto fumo e niente arrosto. Non c’è una vera trama, il ché non è per forza un problema. Ci sono tanti film stupendi che traggono la loro forza dalla sceneggiatura, dalla fotografia, dalla bravura degli attori, e che hanno tantissimo da dire. Ma non si tratta di questo caso. Non si capisce, infatti, dove il film voglia andare a parare.
Bei monologhi sul senso della vita
Questo non significa, ovviamente, che non ci sia una bella sceneggiatura. Ci sono dei bellissimi monologhi in questo film. Parole stupende vengono spese sul senso della vita, sulla giovinezza, sul tempo che passa. C’è un invito a cogliere l’attimo, a non sprecare l’esistenza andando dietro a futili piaceri. A non dimenticare che si vive una volta sola e chissà cosa ne sarà di noi una volta che avremo varcato la frontiera. Sono tutti discorsi che apprezzo e che, a mio parere, vanno fatti soprattutto in questo periodo storico, in cui siamo più che mai persi. Ma sembra quasi che tutte queste parole vogliano solo riempire dei buchi. Dare spessore ad una trama che non c’è.
I personaggi, poi, sono piatti, privi di caratterizzazione. L’unica cosa che li accomuna è un’inesprimibile sofferenza, una rabbia nei confronti di ciò che sarebbero potuti diventare e non sono riusciti ad essere, un rimorso sempre tangibile. Urlano, come Leopardi, contro la natura maligna, che li ha riempiti di speranze e sogni, li ha spinti a progettare e a guardare con attesa al futuro, per poi imbottigliarli in esistenze vuote, rendendoli dei morti che camminano. Pur di cercare il brivido, fanno tante cose senza senso, per poi ritrovarsi con un pugno di mosche o, peggio, con un proiettile conficcato nel cranio.
Enea e la perdita dell’innocenza
In Enea, i personaggi devono fare i conti con la realtà e scegliere se vivere o morire. Hanno più paura del futuro, che della morte, che della fine di tutte le cose. Si chiudono nel passato, cessano di vivere, per poi ritrovarsi più smarriti di prima. Il film, seppur con i suoi limiti, rappresenta chi, dopo il lockdown, si è trovato a contatto con un mondo che non riconosce più, che corre più di prima. Infiacchito dalla clausura, non anela alla libertà, alla corsa per recuperare ciò che ha perso, ma spera che il tempo si fermi di nuovo o che torni indietro.
Mi chiedo che film sarebbe venuto fuori se Pietro Castellitto non fosse stato un ragazzino che gioca con grandi temi. Enea avrebbe avuto molto più da dire? Non lo so. Magari, avrebbe detto tutto meglio. Un’occasione sprecata, ahimè. Eppure, vi esorto comunque ad andare al cinema, a saltare qualche impegno e a catapultarvi in sala. Tranquilli, c’è sempre tempo per il dovere; è per il piacere che scarseggia.
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