Ghostwire Tokyo – Recensione – PC, PlayStation 5

Ghostwire Tokyo – Recensione

Il gioco di Tango Gameworks curato dal maestro Shinji Mikami offre un’ambientazione a tratti horror e un sistema di gameplay molto particolare, qualcosa di fresco che tiene alta l’attenzione, ma non del tutto.  Io non sapevo niente di Ghostwire Tokyo quando ho iniziato a giocare e non vi nascondo che ero sicuramente un po’ scettica. Sarò riuscita a dissipare la nebbia che si era insinuata anche nella mia mente, oltre che nelle strade di Tokyo? Scopritelo continuando la lettura!

In Ghostwire Tokyo mi sono ritrovata a gestire poteri per contrastare spiriti chiamati Visitatori in un semi open world, in prima persona, coraggioso, insolito, particolare e lontano dall’essere perfetto. Akito Izuki è il protagonista di una Tokyo che ha perso tutti i suoi abitanti umani popolandosi di figure della mitologia giapponese, fantasmi inquietanti e demoni pericolosi che popolano le strade, ma Akito ha la possibilità di sconfiggerli grazie agli attacchi elementali che scaturiscono dalle sue mani. Il suo scopo è scoprire cosa è successo, purificare la città e saperne di più sulla misteriosa entità che lo ha posseduto e gli ha conferito i suoi poteri del tutto inaspettati.

Questa è la storia alla base del gioco, ma c’è altro e non tutto è apprezzabile.

Il gioco è un open world, ma non troppo, non dall’inizio, infatti la mappa non può essere esplorata da subito nella sua interezza, perchè la città è avvolta da una nebbia che si dissolve solo purificando i Santuari. Il gioco spinge quindi ad esplorare ogni angolo, accettando missioni secondarie, assorbendo gli spiriti prigionieri di quelle che prima di tutta questa desolazione erano persone, con quel sano senso di “terrore” per ciò che troveremo ad attenderci, almeno all’inizio del gioco l’impressione è quella. In generale gli ambienti non sono molto ampi, ma sicuramente vari, la città ha una sua identità, e per assurdo è “viva”. Poi quando tutto cambia perché siamo inghiottiti in dimensioni parallele, il gioco si rivela un’eccezionale ispirazione visiva.

A fronte di missioni secondarie poco ben congegnate e scritte, le meccaniche di gioco in generale sono a volte ripetitive, questo mi è dispiaciuto molto, mi sono dedicata da subito alle quest secondarie perchè avendo scelto la modalità Difficile ho pensato che un po’ di esperienza in più mi avrebbe aiutata a salire di livello più velocemente. Purtroppo mi sono resa conto a un certo punto che ripetevo le stesse cose anche se il soggetto era diverso. Si racchiude tutto in: esplorare, liberare anime intrappolate, sconfiggere nemici, acquisire nuove abilità dalle cabine telefoniche che fungono da contenitore per trasferire gli spiriti nell’aldilà, e così via.

Sin dall’inizio del gioco sono stata lanciata nel vivo della storia, raccontata dai protagonisti giocando, e non con filmati noiosi; quelli che ci sono, a mio parere, sono ben diretti e ben strutturati scorrono piacevolmente. Parlando invece della “fauna”, chiamiamola cosi, dei mostri presenti nel gioco, le tipologie che si incontrano non sono molte, ma le differenziazioni e il modo in cui si alternano richiedono approcci sempre diversi, e riescono perfettamente a convogliare tutta la concentrazione dei momenti più impegnativi sulla scelta del potere più adatto da scagliare contro il nemico. In effetti io ci ho anche provato a gestire i poteri di Akito pensando a cosa era più efficace e cosa dovevo conservare per le ultime fasi dello scontro, ma a parte il potere del fuoco che è veramente devastante, e l’ho usato per i nemici di un certo spessore, posso dire senza alcun dubbio che quando si incontra qualsiasi tipologia di nemico, si lancia tutto alla rinfusa senza stare a pensare cosa quando e dove! 

Ci sono anche una sfilza di creature che, anziché mirare ad essere mostri o fantasmi, prendono spunto dalla mitologia giapponese, creature che spesso ritraggono il pentimento e la colpa, cose che possono cambiare lo spettro dei morti da un’anima semplice a una creatura da incubo. Proprio questi diventano protagonisti quasi indiscussi del gioco, capaci di tenerti col fiato sospeso fino alla conclusione dello scontro. Per questo Ghostwire: Tokyo, riesce a tutti gli effetti ad essere creativo e audace, ma non perfetto.

Parlando dei poteri soprannaturali di Akito grazie a KK i principali sono 3: vento acqua e fuoco, selezionabili su una ruota insieme ai talismani che possono essere esche per i visitatori oppure trappole. Tra i poteri principali senza ombra di dubbio il fuoco, come ho detto, è quello più devastante, quello dell’acqua è efficace alla breve distanza mentre il vento funziona bene sia da lontano che da vicino, l’importante è creare una fessura dalla quale possiamo poi estrarre il nucleo dei nemici.

Ma abbiamo anche un arco molto efficace dalla distanza purchè abbiate una mira migliore della mia! In ogni caso tutto sia i poteri che l’arco possono essere potenziati con i punti abilità assorbendo appunto gli spiriti sparsi nella città e consegnandoli alle cabine telefoniche.

Il problema con questi attacchi è che, man mano che si evolvono nel corso del gioco grazie alle abilità, non cambiano molto, aumentano i danni ovviamente, la velocità e altro, ma alla fine rimagono questi e ce li porteremo fino alla fine del gioco. Sarebbe stato interessante poter differenziare i vari attacchi con scelte di ruolo, o magari trovare un sistema in grado di farcene ottenere altri. Un peccato.

Nonostante tutto diciamo che in generale, mancanze a parte, il gameplay si fa apprezzare con un sistema di combattimento divertente

Non mi è piaciuta invece l’arena dove mi sono trovata spesso durante le boss fight e alcune sessioni di gioco (che sembrano più create per evitare grossi scontri nel centro abitato più che per motivi di design, anche se sarebbe stato eccezionale da vedere secondo me), ma in compenso tutta Tokyo è bellissima da esplorare. Anche il potere del volo è divertente, certo non si vola per molto tempo e per lunghissime distanze ma da un tetto si può tranquillamente raggiungerne un altro e può essere utile come escamotage per disimpegnarsi in caso di difficoltà.

Anche a modalità difficile non è necessario potenziare tutte le abilità al massimo, si riesce tranquillamente a finire il titolo senza troppi problemi. Pensavo in effetti di morire svariate volte invece è andata meglio di quello che pensavo e la difficoltà non è stata un ostacolo, anzi andando avanti l’ho sentita sempre meno.

C’è in gioco una moneta spendibile nei negozi gestiti da gatti, sì avete letto bene gatti! La valuta di gioco è il Maika e ci si possono acquistare oggetti utili, come quello per catturare gli spiriti per passare poi al cibo per ripristinare la vita, alle frecce, ai talismani e perfino al cibo per i cani. Visivamente parlando sono bellissimi da vedere! Piatti caratteristici giapponesi che mi hanno fatto venire anche fame, vi dirò!

Tecnicamente Ghostwire: Tokyo brilla, con una grafica impressionante che non mi ha mai stancato, la caratterizzazione di personaggi e location è maniacale, un lavoro minuzioso degno di un videogioco di qualità, e anche nel modo in cui sono stati riprodotti gli stretti vicoli di Tokyo si vede quanto Tango Gameworks volesse realizzare una città realistica e coinvolgente. Non ho riscontrato bug nè glitch, in un paio di occasioni c’è stato un piccolissimo calo di fps, ma niente di importante. Per il resto scorre fluido senza problemi, dall’inizio alla fine, grazie anche al doppiaggio ben fatto e alla localizzazione italiana di alta qualità.

Rimane l’amaro in bocca per tutte le occasioni mancate sia per la struttura della storia in sè, sia per la conclusione della stessa molto frettolosa nel finale, a mio parere; per il resto il gioco è un’avventura interessante, non troppo impegnativa con un buon grado di difficoltà che offre un’ambientazione originale e un combat system dinamico, sicuramente adrenalinico e abbastanza divertente. La durata del gioco dipende molto da quanto siete completisti o meno, quindi diciamo dalle 15 alle 20 ore.

Alessia Lara Padawan – Romana, youtuber, nerd fino al midollo, adora film, serieTV, cartoni animati ed è malata da anni di una grave forma di dipendenza dai videogames. Il suo motto è: “Se credi anche lontanamente che ne valga la pena… allora GIOCALO!”