Perché è importante ricordarsi di Firewatch

È sempre importante saper ricordare. I ricordi ci permettono di entrare nuovamente in delle realtà trascorse, di cristallizzare in un angolo della mente sensazioni, pensieri, parole, tutto quanto compone un immaginario ormai perduto. In ambito videoludico ricordare è al tempo stesso più facile, grazie alla possibilità di rivivere le nostre avventure preferite su diverse piattaforme, sia più difficile, poiché nel calderone senza fondo dei giochi “perduti” rischiano di annidarsi produzioni di pregevole fattura: è il caso di Firewatch, il gioco di Campo Santo rilasciato nell’ormai lontano 2016 e approdato sulla mia console solo negli scorsi giorni… ma destinato a prendere la sua sedia di vimini, sedersi con in mano un binocolo per guardare lontano e annidarsi nella mia memoria per sempre.

Henry è un uomo che fugge da una realtà fattasi troppo complicata: la moglie, Julia, ha una forma di Alzheimer che colpisce precocemente e che sta lentamente facendo svanire i suoi ricordi e la percezione che ha del mondo. Non è facile nemmeno per Henry, costretto a sentirsi un estraneo nella sua stessa casa, con la sua stessa moglie; messo alle strette da qualcosa che è ormai più grande e più forte di lui, accetta un lavoro che lo porterà via per tutta la stagione estiva, posizionandolo in un grande parco del Wyoming come guardaboschi, vedetta antincendio… un Firewatch, appunto.

È un lavoro particolare il nuovo impiego di Henry, ti porta a passare molto tempo da solo nella natura sconfinata, a fare i conti con ben poche situazioni conosciute fino a quel momento e a sfuggire con la mente a tutto ciò che ti sei lasciato dietro per concentrarti sul presente: una serie di misteri che coinvolgono anche te, in prima persona, la presenza di minacce impensabili quando hai accettato il posto e la sola compagnia dei toni caldi del tramonto e della voce di Delilah, la tua invisibile collega, situata a km da te in una torre di guardia simile alla tua. Non ha altro Henry, ed altro non gli serve se non questo, per farci vivere una delle storie più intense con cui io abbia mai avuto a che fare.

Mi limito nel narrarvi la trama a queste primissime battute, che non fanno che grattare la superficie di quella che è una narrativa sull’umanità e sui rapporti grazie ai quali questa si manifesta nella vita di tutti i giorni. Sappiate infatti che Firewatch è un’avventura dai toni caldi, dai silenzi ben congeniati durante le nostre esplorazioni nel Wyoming e dai riferimenti voluti, precisi, a volte intriganti e misteriosi ma mai più che “umani”. Forse è stata proprio questa umanità a non permettere che l’opera venisse davvero capita da tutti, o apprezzata nella sua complessità: la critica maggiore che è stata mossa al prodotto di Campo Santo è infatti quella relativa alla sua ultima mezz’ora di gioco, dove gli eventi prendono la piega definitiva e la conclusione si rivela forse ben diversa da come alcuni l’avevano immaginata.

Ma io, onestamente, non potevo sperare di meglio: Firewatch è un tripudio di ciò che alberga nel cuore di ognuno di noi, del desiderio di evasione derivante dalle difficoltà percepite come troppo grosse o inattese, dalla necessità di resettare la propria vita e ritrovare se stessi nel silenzio di un bosco; è un’orchestra silenziosa delle emozioni umane, delle passioni che ardono come un fuoco estivo pur senza avere legna da bruciare, dei misteri da risolvere per non pensare ai misteri reali, a quelli che ci perseguitano la notte. Firewatch è una stoccata al cuore per chiunque di noi si sia ritrovato a guardare almeno una volta la propria mano, ricolma di segni o ornata da anelli e pegni, e a chiedersi se gli impegni presi eravamo davvero capaci di portarli a termine.

Perché sulla scia dell’ardore, della gioventù o del coraggio, le promesse vengono mosse e le azioni vengono perpetrate, ma ognuna di esse ha delle conseguenze a lungo termine e gettare nel lago una radio nell’impeto della protezione e della manifestazione della propria irruenza può avere, a volte, effetti indesiderati.

La figura di Henry rispecchia candidamente le sfaccettature di un qualsiasi animo tormentato da una grande perdita o dalla minaccia della stessa, rivelando come basta a volte cambiare ambiente per sembrare due persone completamente opposte, ma che si portano dietro il medesimo bagaglio; perché dalla realtà non si può scappare per sempre, oppure si può farlo pagando un prezzo molto alto, perdendola di vista e restando fermi a guardare il sole calare ancora una volta, mentre il rumore di un elicottero si affievolisce e scompare nel fumo lasciato da un incendio.

Parlare di Firewatch è complicato per chi, come me, soccombe al richiamo di tutta la sua potenza introspettiva e rischio, come in realtà ho già fatto, di perdermi in divagazioni esistenziali forse ben poco adatte ad una lettura leggera. Mi perdonerete, dunque, se sono caduta vittima di quei tramonti, delle conversazioni alla radio con l’unica presenza consolatoria nell’immensità delle radure, dei timori che si annidano la notte tra le pagine dei libri sparsi, mentre fuori il vento ulula e qualcosa (o qualcuno) si nasconde nel bosco. Ma non riesco a parlare diversamente di un gioco che in sole 3 ore è riuscito a tirare fuori tutta la fragilità, l’imperfezione e la complessità che riposa in ogni essere vivente che possa avere l’onore, spesso mal gestito, di chiamarsi “umano”.

Questo speciale nasce per ricordavi che Firewatch esiste e fa parte di un panorama videoludico vastissimo che non va guardato con sufficienza, ma nel quale bisogna concentrarsi a volte sui punti più distanti, sugli angoli della memoria che avevano perduto qualcosa di davvero prezioso. Perché ricordare è importante e i ricordi, probabilmente, sono uno dei modi che abbiamo davvero di lasciare il segno.

E Firewatch lo ha lasciato.

Amante di videogiochi e libri fin dalla nascita, ha poi sviluppato una grande passione per tutto ciò che è nerd. Originaria della terra del bergamotto e del piccante, vanta radici nordiche niente male e ha una passione irrefrenabile per il mondo animale. Logorroica e amante delle discussioni costruttive, datele un argomento di conversazione a vostro rischio e pericolo!