Sappiamo bene quanto l’annuncio e l’uscita di un nuovo Resident Evil sappiano scuotere gli animi e il mercato: il brand di Capcom è costellato di grandi successi e produzioni controverse, capaci di attirare l’attenzione del pubblico e della critica nei modi più disparati. Resident Evil Village, rilasciato il 7 Maggio 2021, non ha di certo fatto eccezione ed è giunto a noi carico di premesse e aspettative, pronto ad agguantarci e gettarci all’interno di un ambientazione inedita e di un sistema di gioco che strizza l’occhio ai capitoli più action del brand, senza tuttavia dimenticarne le origini. Nel corso di questa recensione avremo dunque modo di sviscerare l’opera di Capcom e dare il nostro personale verdetto: Resident Evil VIII è uno dei titoli migliori del franchise? Scopritelo insieme a noi!
Resident Evil Village – Recensione – Il Villaggio delle Ombre.
Una premessa riguardante la trama di Resident Evil Village è doverosa: come intuibile dal cast proposto all’interno del gioco, l’ottavo capitolo si colloca in linea temporale dopo le vicende di Resident Evil 7 e ne riprende, anche se parzialmente, eventi e contenuti. Sebbene il gioco consenta di prendere visione di un comodo recap per coloro che non hanno avuto modo di cimentarsi nella prima avventura di Ethan Winters, il nostro consiglio è sempre quello di impugnare il pad e gettarvi nell’esperienza precedente, prima di mettere piede nel gotico villaggio offerto dal nuovo gioco.
La famiglia Winters vive in una condizione di pace apparente. La piccola Rose, figlia di Ethan e Mia, porta gioia e calore ai suoi genitori, ancora scossi per gli eventi a casa dei Baker che li hanno costretti e riconsiderare le proprie esistenze e a rifugiarsi in un luogo scelto da Chris Redfield, loro protettore e amico. Come ci ha insegnato il brand, però, il male non dorme mai e ben presto Ethan si ritrova a dover fare i conti proprio con Redfield che, dopo aver sparato alla moglie, porta via lui e Rose dalla casa in cui il nucleo familiare aveva appena ricominciato a vivere nella normalità. Un incidente durante il percorso fa però sii che il veicolo si ribalti e che Ethan si ritrovi a pochi passi da un villaggio misterioso e pieno di insidie, posto ai piedi di un castello grottesco e con una sola missione da completare: ritrovare sua figlia.
Gli eventi di Resident Evil Village si susseguono in modo ritmico e ben ponderato, non dando mai modo al giocatore di annoiarsi e ponendogli sempre numerose domande sulla natura dei suoi alleati e dei suoi nemici. Giunti al villaggio sarà pressoché immediato fare la conoscenza delle cinque oscure figure che controllano quella realtà immersa nella neve e nell’orrore: i Quattro Signori e la loro leader, Madre Miranda, sono infatti i nostri “boss da affrontare”, le nemesi che si frapporranno tra noi e la piccola Rose e gli ideatori dei mille modi per ucciderci mentre proviamo a riprendercela. Proprio nella natura dei Signori si annida il primo problema della produzione: sebbene le premesse fossero eccellenti e nel corso dei mesi l’hype fosse cresciuto esponenzialmente soprattutto nei riguardi di alcune figure specifiche (qualcuno ha detto Lady Dimitrescu?), possiamo affermare che al di là di qualche battuta brillante, gli antagonisti della produzione risultano un po’ piatti e senza mordente per quanto riguarda la loro stretta caratterizzazione, con le dovute eccezioni.
La storia di Village strizza più volte l’occhio al quarto capitolo del franchise e ne riprende alcuni aspetti specifici, come la presenza di un culto o la “popolazione poco amichevole” che ci aspetta all’interno del villaggio. Tuttavia, da Resident Evil 4 vengono ripresi anche alcuni aspetti grotteschi e spunti di trama che sono troppo, troppo trash persino per un Resident Evil (brand delizioso, ma non proprio brillante dal punto di vista della tessitura narrativa!). La sezione finale mantiene il ritmo della produzione, serrato e sorprendente, sebbene alcuni colpi di scena abbiano avuto su di me un impatto più mite di quello che mi sarei aspettata, probabilmente a causa di una loro prevedibilità intrinseca.
Al netto delle considerazioni fatte, Resident Evil Village offre una narrativa che tiene incollati allo schermo e che riesce a far luce su alcune dinamiche del brand e di Resident Evil 7 nella fattispecie: un capitolo ricco di eventi, colpi di scena e “momenti rivelazione” che siamo certi non vi annoierà nemmeno per un secondo.
Resident Evil Village – Recensione – Un compendio dell’horror… non richiesto.
Una volta superato il prologo, Resident Evil Village schiude dinnanzi a noi tutti gli aspetti della sua natura di omaggio a Resident Evil 4: la produzione ha un’anima decisamente più action rispetto al capitolo precedente, sebbene non perda alcuni elementi relativi alla risoluzione degli enigmi e alcune idee di gameplay, come l’utilizzo della prima persona e il crafting. La sensazione che si ha fin dal principio è che il villaggio che dà nome alla produzione sia destinato ad essere il nostro “hub centrale”, un luogo in cui tornare dopo aver affrontato le altre aree, magari in possesso di chiavi e strumenti che possano permetterci di avere accesso a zone prime precluse all’interno dello stesso. Esplorando da cima a fondo il luogo e prestando attenzione agli ambienti, vi imbatterete sicuramente in armi di ogni tipo, che non fanno altro che gridare a gran voce ciò che il gioco ci dice, in realtà, fin da subito in modo chiaro: qui si spara. E si spara tanto.
Tralasciando alcune sezioni, infatti, Village offre nemici di diverse varietà ed in gran numero, pronti ad accerchiarci e a colpirci con ferocia e spietatezza; a quel punto, potremo attingere al nostro arsenale, destinato ad ingigantirsi ora dopo ora e a costringerci ad aumentare lo spazio nell’inventario per far posto a pistole, fucili a pompa, lanciagranate, revolver e chi più ne ha più ne metta. La volontà di ritmare il gioco e di lasciare indietro le “fughe dall’inseguitore” che avevano caratterizzato alcuni episodi passati, però, finisce per rendere Village troppo action e a, tratti, troppo vicino ai nefasti Resident Evil 5 e 6, soprattutto nelle ultime 2-3 ore in-game.
Quello che, personalmente, mi aspetto da un gioco horror, è avere sempre la sensazione di essere impreparata nei confronti della minaccia, tremare al pensiero di non riuscire a prevedere e fronteggiare ciò che mi salterà addosso durante la prossima ora di gioco; in Village, questo non avviene mai, si è sempre troppo carichi di strumenti e munizioni per far sì che il timore prenda il sopravvento. Ethan Winters, con il progredire delle ore, assomiglia sempre più ad un militare armato fino ai denti piuttosto che ad un povero padre di famiglia costretto a cercare sua figlia all’interno di un villaggio immerso nel nulla.
Non sorprende che uno dei momenti più alti della produzione, o quantomeno quello che è stato capace di incutermi più paura, sia proprio l’unico frangente in cui ci ritroveremo con nulla più che la possibilità di scappare da un nemico all’interno di Casa Beneviento. Village ha rimosso quel piacevole senso di angoscia che dava l’essere braccati dai Baker, offrendo al suo posto scontri costanti divisi tra orde ed esseri raccapriccianti, spesso di grandi dimensioni. Una scelta, a mio modo di vedere, infelice, che priva l’opera di uno dei punti cardine delle produzioni horror: la tensione.
Considerato questo, dobbiamo sicuramente fare un plauso alla varietà dei nemici, ideata per far dimenticare la monotonia di quelli del capitolo precedente: Resident Evil VIII è un vero e proprio compendio dell’horror, capace di porci davanti Lycan, vampiri, essere alati che avremmo preferito non vedere mai, mezzi-zombie, semi-Tyrant meccanici ecc. Nonostante l’ampia varietà di assalitori, possiamo però dire che le differenze tra un nemico e l’altro si limitano spesso al concept art, riducendo la fantasia dell’approccio che ci saremmo aspettati tra le diverse specie: tutte hanno in comune l’aggressività e la velocità, sebbene i Lycan siano sicuramente i più temibili sotto questo punto di vista, e sarà necessario riempirle di piombo per abbatterle, indifferentemente dalla loro natura.
Questo insieme di considerazioni confluiscono poi nella netta sensazione che Capcom, nel tentativo di cambiare atmosfera e tinte, abbia un po’ esagerato, mettendo troppa carne al fuoco e rischiando di snaturare una formula già spesso posta sul filo del rasoio all’interno del brand, a cavallo tra un “capitolo originale” e un insieme di idee destinate a collidere.
Focalizzandosi poi sui boss, molti di essi assumono fattezze di grossi oppositori dai movimenti lenti e dall’aggressività esasperata, con punti deboli in bella mostra ed un livello di sfida che si bilancia di conseguenza. Persino la figura più chiacchierata del gioco, Lady Dimitrescu, è stata capace di deludermi durante le ore passate all’interno dell’omonimo castello: la nostra inseguitrice è una versione più tarda e lenta del Mr. X di Resident Evil 2 Remake, una pigra padrona di casa che risulta troppo facile da eludere ed ingannare durante la nostra esplorazione, finendo per essere più un fastidio che un ostacolo vero e proprio. Nota di merito alle figlie, che qualche salto dalla sedia ve lo faranno fare… prima di capire che nella maggior parte delle apparizioni sono scriptate.
Un gran numero di nemici e un’ampia varietà di situazioni richiedono che si abbia come reagire e, come detto in precedenza, Capcom ci ha fornito un’ampia gamma di strumenti e una progressione del personaggio che lascia soddisfatti. Reperendo le risorse in giro per le diverse sezioni della mappa, Ethan potrà craftare praticamente ogni tipo di munizione, mina o granata, acquistando ciò che non può realizzare direttamente dal Duca, il mercante del titolo. Il bizzarro individuo vende, ovviamente, anche diversi tipi di armi ed è disposto a pagare per avere oggetti di valore e drop dei nemici che non intendiamo utilizzare, fornendoci in cambio un cospicuo quantitativo di Lei, la valuta di gioco. La possibilità di creare e acquistare munizioni, nonché di recuperarle dai cadaveri dei nemici uccisi, fanno sii che il giocatore non sia mai spinto ad evitare lo scontro e che il gioco mantenga sempre un ritmo elevato. Il feeling con le armi è piuttosto arcade e, vista la natura sparacchina della produzione, forse sarebbe stato meglio differenziare un po’ alcuni aspetti e aumentare la profondità delle bocche da fuoco: allo stato attuale delle cose, invece, quello che ci ritroviamo a fare è cambiare arma una volta finite le munizioni e non soppesare rischi e vantaggi di ciascuno strumento in dotazione.
Un altro aspetto che il titolo mantiene dai suoi predecessori è la risoluzione degli enigmi, a dire il vero molto intuitivi e privi di una particolare profondità, dovuta anche alla volontà degli sviluppatori di relegare gli oggetti chiave ad una sezione differente del menù, non costringendoci a fare scelte in-game su cosa tenere e cosa lasciare (altro aspetto ripreso da Resident Evil 4).
La mappa è ben progettata, ma i percorsi da intraprendere sono sempre netti e visibili, non ci si perde quasi mai e il backtracking è limitato al solo villaggio. Sebbene il level design generale della produzione sia stato capace di convincermi, alcune scelte hanno sbilanciato nettamente l’omogeneità delle aree del gioco, ingigantendone alcune in modo quasi frustrante e riducendone all’osso altre, sacrificandole come vere e proprie “linee di passaggio” e nulla più. I Quattro Signori non sono assolutamente trattati tutti allo stesso modo e se ogni livello rispecchia adeguatamente il carisma di ciascuno di loro grazie alle ambientazioni e agli spunti narrativi, non si può dire che la realizzazione della mappa sia stata altrettanto benevola.
Quelle che si evince da questa analisi è che Resident Evil Village abbia cercato in tutti i modi di essere un capitolo “compendio” sia dell’immaginario horror che di quello strettamente legato al suo franchise di appartenenza, finendo però per virare pesantemente verso la natura action dei capitoli successivi al quarto e realizzando solo parzialmente bene alcuni aspetti ad essi legati. Accortezze maggiori avrebbero potuto evitare alcune sonore critiche e regalare, nel complesso, un’esperienza un po’ più bilanciata.
Resident Evil Village – Recensione – “Valutazioni difficili”.
La presenza di numerose sezioni dove i nemici ci assaliranno in gran numero e la vastità di alcune aree specifiche, ricche di tesori e segreti da svelare, fanno sii che Village possa tranquillamente arrivare ad offrirci una quindicina di ore di gioco. Una partita condotta senza completismi di sorta, e con una buona abilità nel non farsi sopraffare dal nemico di turno, terminerà invece con circa 10 ore all’attivo. La produzione è rigiocabile grazie alla presenza di più livelli di difficoltà e grazie agli obiettivi collegati al completamento al 100%, alcuni forzatamente impossibili da completare durante una prima run.
La difficoltà complessiva del gioco è da attestarsi su un livello intermedio, priva di particolari impennate ed anzi soggetta ad alcuni cali dovuti, come detto in precedenza, al grande quantitativo di munizioni o all’intuibilità eccessiva di situazioni e meccaniche. I giocatori più avvezzi al genere e al franchise potrebbero azzardare una prima run direttamente a Difficile, sicuramente in grado di divertire e impegnare in modo maggiore.
Resident Evil Village – Recensione – Immergersi nell’orrore non è mai stato così piacevole.
Un aspetto sul quale non si può davvero dire nulla a Capcom è l’utilizzo impeccabile del Reach for the Moon Engine, il motore grafico di proprietà dalla compagnia, sul quale si ergono le produzioni degli ultimi anni. Gli spazi più ampi e variegati di Resident Evil Village permettono di assistere ad un colpo d’occhio strepitoso, con ambienti curati nei particolari e una caratterizzazione delle aree che abbiamo già avuto modo di elogiare. Alcune texture presentano una qualità inferiore e il prodotto è comunque un titolo cross-gen che deve mantenere i piedi saldi a terra, ma non per questo l’impatto generale viene danneggiato e sarà veramente difficile trovare delle sbavature durante la nostra esplorazione del villaggio e dei suoi dintorni. Sfido chiunque abbia messo piede per la prima volta nel Castello Dimitrescu a dirmi di non essersi fermato ad ammirare il salone per qualche minuto, fissandone il camino o il grande lampadario.
La mia partita si è svolta su PlayStation 4 base e il gioco non ha mostrato limiti particolari né esitazioni dovute all’hardware poco performante rispetto alla versione Pro o alla recente PlayStation 5. Ovviamente si notano delle animazioni meno fluide rispetto ad altri titoli totalmente next-gen e un’illuminazione delle aree che non può competere con il sapiente utilizzo del Ray-Tracing di altre opere, ma nulla di tutto questo rovina il quadro d’insieme che Capcom ha allestito nel suo gioco.
Alcune prove sulle versioni next-gen ci permettono di dichiarare che il titolo è ben ottimizzato, sebbene non si raggiunga il 4K e i 60fps vengano messi a rischio dall’attivazione del Ray-Tracing, soprattutto su PlayStation 5.
Dedichiamo, infine, uno spazio al sonoro: il sound design del prodotto è qualitativamente elevato, con gli urli strazianti dei Lycan e i passi dei nostri inseguitori che ci faranno una compagnia decisamente non richiesta e angosciante al punto giusto. La colonna sonora è, di per sé, adeguata alle situazioni e qualche truce canzoncina riuscirà a bypassare i limiti dello schermo, entrarvi in testa e farsi canticchiare anche fuori dal gioco… con notevole sgomento e inquietudine delle persone intorno a voi!
Meno brillante, invece, il doppiaggio in italiano, sottotono rispetto a quello in inglese. Il consiglio è, dunque, di scegliere le voci originali.
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