Favolacce (2020) – Recensione – Fratelli D’Innocenzo

Dopo l’ottimo esordio dietro la cinepresa avvenuto con La terra dell’abbastanza (2018), con Favolacce (2020) i fratelli Fabio e Damiano D’Innocenzo compiono un notevole salto di qualità, testimoniato dall’Orso d’argento per la migliore sceneggiatura vinto al Festival di Berlino 2020.

 

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L’espediente narrativo del diario

Favolacce poggia le sue fondamenta su uno tra i più classici dei dispositivi narrativi: un uomo – la cui voce fuori campo è interpretata da Max Tortora – rivela di aver ritrovato, nel quartiere romano di Spinaceto, il diario di una bambina, ammettendo di aver tentato di continuarlo. Gli eventi racchiusi nel film sono quindi sottoposti ad un duplice filtro interpretativo: tale espediente, se da un lato inficia inevitabilmente la veridicità di quanto accaduto, dall’altro enfatizza la forza pervasiva e spiazzante delle immagini in un film a dir poco spigoloso ed agghiacciante.

 

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Due microcosmi a confronto: adulti e bambini

Servendosi di un’eccezionale fotografia diretta da Paolo Carnera, caratterizzata da un’accurata scelta e modulazione dei colori, il film è in grado di dar vita ad un’atmosfera asettica ma al tempo stesso coinvolgente, che fa da sfondo alla molteplicità di storie, trame e sottotrame, luoghi, circoscritti e a tratti soffocanti nei quali i personaggi si ritrovano ad agire. Punto focale della pellicola è la contrapposizione tra il mondo degli adulti, corrotto dalla propria inettitudine e dall’atrocità di una condizione di invalicabile mediocrità e di pervasiva ignoranza, e il microcosmo dei bambini, ancora rivestito dell’innocenza propria dell’infanzia e impregnato di una cultura che il mondo dei grandi sembra aver smarrito (o non aver mai acquisito).

Lo stile di Favolacce

A dispetto del pretesto narrativo che dà il via al dispiegarsi degli eventi, Favolacce si distingue per lo stile diretto, spietato ed implacabile con cui tratteggia la deriva degli adulti in un contesto di totale turbamento e i contraccolpi disastrosi patiti dai loro figli. 

Classe 1996, nata a La Maddalena ma cresciuta a Bari, è laureata in Traduzione specialistica. È una grande appassionata di film, serie tv e libri, su cui ama discutere e confrontarsi. Si è da poco addentrata nel magico mondo dei giochi da tavolo e, in particolare, dei giochi di ruolo. Crede fermamente nell’idea che “la bellezza salverà il mondo”, motivo per cui attribuisce all’arte e all’intrattenimento un valore assoluto.