Red Dead Redemption 2 e l’arte di mantenere un segreto

Red Dead Redemption 2 – approfondimento a cura di Pietro Onlyapples

Red Dead Redemption 2 è solo l’epico racconto di una banda di manigoldi che stanno esaurendo il loro tempo? In questo articolo cerchiamo di capire perchè, per molti, la narrativa del capolavoro Rockstar trascende ed eleva il suo genere di appartenenza nonostante la sua semplice natura da prequel. Cavalcate con noi!

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La cavalcata verso l’orizzonte è il simbolo del western classico e l’orizzonte è esattamente il punto verso il quale Rockstar Games vuole farci osservare.

Non dobbiamo limitarci a guardarci attorno, passivi, poiché non è sulle stradone principali su cui scorrono le diligenze che si cela il nucleo ludico, ma anche storico/sociale e sarcastico (a tratti persino sinistro ed imperscrutabile), dell’opera.

Dobbiamo osservare l’orizzonte per trovare la nostra vera destinazione in questo viaggio. Non limitiamoci a ciò che si presta dinanzi a noi, a costo di incappare negli ilari incidenti tra cavalli del gioco, probabilmente non altrettanto frequenti nel vero Far West.

Descrivere il feeling narrativo che Red Dead Redemption 2 restituisce al giocatore non è una cosa facile, non essendo una scienza esatta. Oltre all’evidente varietà di approccio che il gioco offre nelle situazioni più aperte e meno legate alla trama principale, c’è da considerare un’altra variante fondamentale: nel mondo di RDR2 non siamo solo noi ad interagire con lo scenario, ma sorprendentemente è anche lo scenario ad interagire con noi. O a cambiare a prescindere da noi.

La gente, la natura ed il progresso sono le tre colonne portanti che ci donano un’innata percezione del tempo nel capolavoro di Rockstar Games. Tutto si muove attorno a noi indipendentemente dalla nostra abilità di osservare, ascoltare, leggere, dedurre. Ed è una lezione che, fidatevi, imparerete duramente.

Si legge in giro di gente che paragona l’ultima fatica di Rockstar Games ad un film di Tarantino, e sebbene sia un gran complimento, il paragone è azzeccato anche per motivi ben più profondi di quanto si possa immaginare.

Si dice che Tarantino sia, in fondo in fondo, il copione più talentuoso della storia del cinema, sebbene forse questa definizione appartenga ai pochi detrattori del famoso regista americano. In ogni caso è giusto ed obiettivo dire che c’è molta farina del suo sacco nelle sue produzioni, e lo stesso si può dire con ciò che Rockstar ha fatto col suo western in termini di trama: cita vagonate di film western e non, senza mai allo stesso tempo copiarne un frame.

Reinterpreta Nikola Tesla mischiandolo col Dr. Frankenstein e riscrive l’invenzione della sedia elettrica, con quel tocco di sarcasmo made in Rockstar semplicemente irresistibile.

Ma non è una semplice questione di sceneggiatura: nello stesso ambito videoludico, le citazioni di Rockstar si fanno sentire soprattutto negli Easter Egg (Skyrim, God of War, Amnesia solo per citarne una manciata). Per non parlare poi dell’autocitazionismo, da sempre ampiamente presente nei giochi Rockstar, con rimandi sia col primo Red Dead Redemption che a Bully.

Questo citazionismo va però oltre ogni aspettativa, un po’ come tutto in questo gioco, quando prende in prestito la narrativa ambientale e indiretta da titoli come Dishonored, Bloodborne e Dark Souls, applicandola in un contesto molto più ampio e dettagliato.

Se, per la trama principale, dal lato gameplay viene mantenuta la classica struttura Rockstar (giocosa e lineare, più TPS che action), per le attività extra Rockstar dimostra di fatto di aver imparato, padroneggiato e implementato alla perfezione e su scala titanica qualcosa di ancora più profondo: l’arte di mantenere dei segreti dei titoli prima citati. 

Le quest di Red Dead Redemption 2, infatti, si fa fatica a definirle delle vere e proprie quest e sarebbe forse meglio appellarle come “situazioni”.

Avvicinandoci ad una casetta sinistra in mezzo al Bayou, o indagando sulla città fantasma di Pleasance, già sapremo in cuor nostro che non rimarremo in quel posto molto a lungo, ma saremo anche consapevoli del fatto che ogni persona, lettera da leggere e mistero scoperto sarà un’esperienza unica, nascondendo ogni singola volta una storia sempre diversa, un piccolo gioiello nell’arido deserto dell’Ovest che fiorirà nella nostra anima da per anni e anni.

Scoveremo luoghi e incontreremo persone che magari verranno citati successivamente, e che se non ci fossimo fermati per interagirci, mai avrebbero fatto esclamare al protagonista di questo epico Western “Hey, io quel posto l’ho già sentito!” durante una scena successiva del gioco.

Red Dead Redemption 2 è un gioco che, sebbene abbia picchi qualtitativi ed una cura generale con cui può far scuola, diciamocelo: vive di quantità. Ed è una cosa sacrosanta.

Tutti gli open world hanno una serie di attività secondarie più o meno di alta qualità, ma la quantità in questo gioco è smisurata, tanto smisurata da farlo sembrare vuoto per il senso di spaesamento che, almeno all’inizio, trasmette.

Quando l’open world del titolo, nel capitolo 2, si apre completamente al giocatore, egli potrà già fare tutto, pur non avendo ancora i mezzi specifici né le nozioni adatte.

Cacciare richiederà una serie di riti di preparazione non indifferente, così come qualcuno che ci insegni a farlo.

Ad esempio, per creare oggetti avremo bisogno di un fuoco da campo, cosa non così semplice da allestire come sembra: ad esempio nei centri abitati non potremo accenderlo, idem nel caso in cui fossimo minacciati da predatori nelle vicinanze. Ma questo, come tante altre cose, lo impareremo con l’esperienza.

Le attività di contorno del cult Western di Rockstar non sono delle attività da avviare quando ci va, sono tutte attorno a noi, ci chiamano, ci plasmano come giocatori, si adattano a noi ma allo stesso tempo pretendono pazienza e dedizione.

Red Dead Redemption 2 vive di quantità, lo ripetiamo,  ma ogni singolo elemento non è un copia incolla ripetuto N volte, è vario ed è ciò che rende quest’open world unico, una quantità necessaria ai fini dell’evoluzione di questo genere, a cui altri potranno ambire solo fra molti anni.

La struttura delle quest secondarie di Red Dead Redemption 2 riesce quindi nell’incredibile compito di adattarne la scrittura in base a qualsiasi sia il contesto di fronte a cui ci capiteranno a tiro, aggiungendo uno strato di credibilità raramente raggiunto prima d’ora in un contesto sconfinato e facendoci venire la pelle d’oca in più di un’occasione.

Immaginate quindi una linea temporale in cui aggiungete dei pallini, che sono tutte le azioni che fate: vi svegliate la mattina, nel saloon di Rhodes, con un forte mal di testa, dopo una serata a base di whiskey dalla dubbia provenienza e poker. Andate nella stalla di paese per recuperare il vostro cavallo e poi raggiungete la vostra banda, preparando un furto in una casa col vostro compadre Javier Escuella.

Ora, a quella linea temporale, aggiungete altri pallini, ovvero tutte le azioni che gli abitanti del mondo di gioco rivolgono a voi: il proprietario del saloon vi rimprovera per aver rotto una sedia la sera prima, tutti vi guardano male credendovi ormai un tizio burbero e rissoso, il proprietario della stalla vi saluta calorosamente, dato che ormai siete un suo cliente abituale e magari è proprio Javier a proporre a voi il furto nella casa, più che il contrario. Una casa che, magari, avrete già tentato di svaligiare, ed il suo proprietario, mentre lo incaprettate ben bene col lazo per poi privarlo in santa pace di tutti i suoi averi, riconoscendovi per colpa della vostra abitudine di non cambiare mai i vostri fidati stivali in pelle di coccodrillo, esclamerà: “Per mille diavoli, ancora tu?!.

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Il suo vero nome è Pietro, è del '94 ed è appassionato di videogiochi e di altre forme di intrattenimento, come film e libri, soprattutto a tema fantascientifico. Insomma, il classico nerd ma senza il QI sopra la media. Si nutre di mele pixellose quasi ogni giorno, che di certo non gli levano il medico di torno.