Skinamarink – Recensione – Kyle Edward Ball

Skinamarink – Recensione

Skinamarink è il fenomeno horror che, a partire dall’anno scorso, sta terrorizzando il web. Chi l’ha visto ha in seguito invaso i social network per esprimere il terrore generato dalla visione. A questo punto la domanda è: fa davvero così paura o è solo il nuovo Paranormal Activity?

Un film sperimentale

La prima cosa che bisogna tenere a mente è che questo film NON è per tutti. Non è per chi si approccia al cinema in maniera più casual e nemmeno per i cinefili più esperti. Ma allora chi lo dovrebbe vedere? 

La risposta sta nel suo lato tecnico. Skinamarink, infatti, è un prodotto che ha una trama semplicissima. Talmente semplice che forse non ce l’ha nemmeno.
Due bambini molto piccoli, Kevin e Kaylee, rimangono in casa da soli di notte. I genitori sembrano essere spariti. Assieme a loro, lo sono anche tutte le porte e tutte le finestre della loro abitazione.

Questo è praticamente tutto quello che succede. Ci sono alcuni momenti in cui la trama va avanti, ma sono piuttosto risicati. In ogni caso, non sono tantissime le cose che succedono.
Ciò è dovuto principalmente dal fatto che il regista, Kyle Edward Ball, più che raccontare una storia, sembra volesse raccontare un’atmosfera, quella che si creerebbe se succedessero le vicende che la pellicola racconta.

Ciò lo si può intuire perché, nonostante nel film siano presenti degli attori e dei personaggi, questi non vengono quasi mai inquadrati. Quando lo sono, poi, pochissime volte vengono ripresi tradizionalmente. Il 99% delle volte non compaiono in faccia, ma sempre di spalle o in zone del corpo che non permettono di identificarli.
Tantissime altre inquadrature, inoltre, mostrano dettagli sulla casa. Ad esempio: il televisore che trasmette sempre cartoni animati risalenti all’incirca agli anni ’30, i giocattoli dei bambini, muri, elettrodomestici, eccetera.

Questo motivo è un motivo per cui il film NON è né per spettatori casuali né per cinefili più esperti. Rimane però la domanda: per chi è quest’opera?

Un film lo-fi

Negli ultimi anni, sta prendendo sempre più piede la musica lo-fi. Per chi non sa cosa sia, si tratta di quel tipo di musica che non appare molto curata per quanto riguarda la qualità. Spesso è registrata (appositamente) con strumenti di registrazione non particolarmente all’altezza e mixata in modo tale da risultare imprecisa, sporca. Inoltre, spesso simula il rumore di sottofondo che faceva il nastro delle vecchie audiocassette.

Molto popolari sono i canali YouTube che trasmettono questo tipo di musica in diretta ed in maniera continuata, 24 ore su 24, per offrire principalmente all’ascoltatore uno strumento per rilassarsi.
Ecco, questo progetto sembra trasporre queste caratteristiche in formato audiovisivo.

Si tratta di una pellicola registrata con una camera digitale e con tutta la qualità di ripresa degli anni ’20 del 2000, ma a cui, in post-produzione, sono stati aggiunti degli effetti che simulano le imperfezioni della pellicola, come se l’avessero utilizzata per le riprese.

A tutto questo si aggiunge l’audio, pensato anch’esso per risultare di bassa qualità. Molti dialoghi, soprattutto quelli delle entità sovrannaturali, sembrano registrati con microfoni che si potrebbero acquistare con 10/15 euro (anche se, chiaramente, non è così).

Queste intuizioni sono molto interessanti, poiché costituiscono due cose che per lo spettatore di un film non sono del tutto familiari. Sentiamo delle voci, cosa che ci appare normale, ma le udiamo attraverso un filtro che le distorce e le rende al contempo non familiari, dando vita a quel concetto noto come “perturbante”.

Particolarmente degna di nota è poi la fotografia, perché con essa è stato fatto un lavoro strepitoso. I colori sono intensi e tanto scuri, a tal punto da riuscire, da sola, a risultare inquietante.

Il problematico ritmo

Un altro dei motivi per cui questo film non è né per spettatori casuali né per cinefili esperti è il ritmo. La prima categoria non è particolarmente abituata a storie molto lente. Tende ad annoiarsi e, spesso, ad interrompere la visione. La seconda, invece, è molto più abituata ed anzi, tende, sovente, a preferirla, perché spesso permette di approfondire concetti che un ritmo veloce non concede.

Qua, però, la lentezza è forse un po’ troppo eccessiva, a tal punto che anche chi in genere l’apprezza potrebbe uscirne appesantito a visione finita.
Questo perché, in un certo senso, se risulta molto interessante il concetto di mostrare per lo più la reazione dell’ambiente circostante, bisogna altrettanto ammettere che le inquadrature sono un po’ troppo lunghe e statiche. E, come si accennava prima, senza personaggi che vengono inquadrati.

Con una trama così risicata e delle riprese che rispecchiano le caratteristiche appena citate, si ha la sensazione che questa storia non doveva venir sviluppata su una durata di 100 minuti.

Ci sono lunghissime sequenze in cui non succede letteralmente niente, con il conseguente effetto di iniziare, già dopo pochi minuti dall’inizio, a causare nello spettatore una lenta discesa verso la sonnolenza. Se poi si pensa che questa situazione andrà avanti per 90 minuti… 

Elementi davvero inquietanti (per quanto sono banali)

In un certo senso, per la lentezza si può anche chiudere un occhio. Diventa però molto più difficile farlo se si prendono in analisi tutti gli elementi visivi utilizzati per incutere paura.
Questo perché per 90 minuti vengono inscenate cose che di inquietudine non ne trasmettono per niente.
Il film cerca di spaventare tramite l’uso di elementi clichettosi o che purtroppo sullo schermo rendono in modo abbastanza trash.

Spesso, infatti, Ball vuole incutere timore tramite oggetti attaccati al soffitto (anche se per questa cosa bisognerebbe fare un discorso molto più approfondito utilizzando anche gli spoiler) quando o con i più comuni jumpscare, utilizzati però in maniera piuttosto gratuita.
Non sono poche, purtroppo, le occasioni in cui ciò che dovrebbe spaventare suscita al contrario una risata.

Questo però sottolinea, a nostro parere, una questione interessante. Se gli elementi che abbiamo appena accennato li vivessimo nella vita reale ci terrorizzerebbero non poco, perché non sono cose della nostra vita quotidiana e quindi ne percepiremmo il perturbante.

La questione invece cambia in un’opera di finzione, poiché sempre questi elementi, nel mondo dell’audiovisivo, si vedono talmente di frequente che oramai lo spettatore ha familiarizzato con essi.
Non ci si spaventa più per una faccia che compare dal nulla (ci si prende un colpo, ma non ne sente la paura) o per una sedia attaccata al soffitto. Ci vuole qualcosa che non si sia mai visto in un’opera di finzione. Qualcosa che non rappresenti il classico cliché e che si possa effettivamente vedere come nuova, poiché non ne si conosce la provenienza.

Gli ultimi dieci minuti

Quasi come un colpo di scena, tutta la situazione cambia negli ultimi dieci minuti.
Se prima si può utilizzare la pellicola come sonnifero per via della sua lentezza, le ultimissime scene la sonnolenza la tolgono del tutto. Ed anzi, forse causano anche un po’ di insonnia.

Questo perché le vicende mostrate riescono a giocare decisamente meglio con il perturbante, creando delle scene davvero tanto disturbanti.
A sfruttare questo elemento, poi, è nello specifico un jumpscare, che riesce ad essere parecchio innovativo nel panorama horror. E, cosa più importante, non fa prendere solo un mega spavento, ma riesce anche ad incutere vera paura.

Le sequenze finali, quindi, riescono a rimanere bene impresse nella mente dello spettatore, soprattutto nelle ore notturne.

Ma quindi, per chi è questo film?

Arriviamo ora alla fatidica domanda: a chi è consigliata la visione di questo film? Essendo una pellicola che non ha quasi nulla di narrativo, ma è per lo più un pretesto per sperimentare nuovi metodi che possano incutere paura, consigliamo la visione solo a registi (o aspiranti tali). In particolare a tutti coloro che si vogliono cimentare nel genere horror.

Questo perché non è certo un prodotto la cui storia o le cui vicende possono trasmettere qualcosa a livello di insegnamento o di intrattenimento, però è un contenitore di tante soluzioni tecniche e stilistiche dall’enorme potenziale. 

Siamo abbastanza certi che tanti registi possano ispirarsi da queste caratteristiche tecniche e che riescano ad integrarle in una pellicola molto più narrativa, dando vita ad un prodotto che intrattiene e che allo stesso tempo riesce per davvero a terrificare lo spettatore. Non come in certe ciofeche che fin troppo spesso arrivano sul grande schermo.

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Nato a Bologna nel 1996, si appassiona al cinema da bambino, quando capisce gli piacerebbe lavorare in quel campo. Più nello specifico come regista e sceneggiatore. Nel 2020 apre su Instagram un profilo che chiama "Recensisco Cose Audiovisive", con cui inizia a parlare di cinema e serie televisive con altre persone che condividono la sua passione.