The Last Of Us – Primo episodio – Recensione Serie TV – HBO

The Last Of Us – Primo Episodio – Recensione

Dopo quasi due anni dal suo annuncio, è finalmente iniziata la serie televisiva dal titolo The Last Of Us, tratta dal famoso ed apprezzatissimo videogioco uscito nel 2013 creato da Neil Druckmann e Bruce Strale, sviluppato da Naughy Dog e pubblicato come esclusiva PlayStation.

La fama dell’opera originale

Nel marzo del 2020, quando HBO ha rivelato che avrebbe lavorato ad una trasposizione seriale di The Last Of Us, qualsiasi persona sulla faccia della Terra ha probabilmente storto il naso.
Non importa che si sia giocato o meno all’opera originale, quando si tratta di adattare un videogioco la preoccupazione è sempre alle stelle. 

I videogiocatori erano preoccupati poichè la qualità della produzione di Naughy Dog è davvero molto alta. Si tratta infatti di uno dei pochi titoli ad essere considerati come un vero e proprio capolavoro videoludico.

I non giocatori, invece, lo erano perché quando viene annunciato un progetto del genere, il risultato finale è sempre parecchio scadente. Non importa se tu abbia giocato all’opera originale o meno, ne si rimane delusi a prescindere.

Un incredibile indice di fedeltà

Il fatto che il primo episodio di una serie televisiva duri un’ora e quindici minuti potrebbe spaventare qualcuno, ma c’è da riconoscere che se il minutaggio è quello un motivo c’è.

Ciò è dato dal fatto che, nonostante la storia originale sia di per sé molto cinematografica, rimane comunque necessario dover adattare, perché il gioco è composto nella sua quasi interezza, chiaramente, da momenti in cui il giocatore deve muovere il personaggio di Joel con lo scopo di farlo progredire nella storia. 

In seguito ad un accordo, Joel deve portare Ellie fuori dalla città, in un posto sicuro.
Di conseguenza, il gioco è impostato quasi del tutto sugli spostamenti che questi personaggi fanno. Si tratta di momenti “morti”, in cui la storia non progredisce particolarmente, che servono appunto per far si che il giocatore possa far arrivare i personaggi dove devono arrivare.

Non dovrebbe esserci bisogno di specificare che quei momenti “morti” nella serie televisiva non li puoi inserire, poiché in quel mezzo di comunicazione non potranno mai funzionare.

Per riempirli, i due creatori della serie, Neil Druckmann e Craig Mazin (lo stesso di Chernobyl), hanno optato per inserire delle vicende e dei personaggi che nella versione videoludica non sono presenti. Essi aiutano tantissimo a ricreare l’atmosfera a cui abbiamo assistito nella versione per una qualsiasi PlayStation dalla 3 in poi.

La storia in generale rimane comunque estremamente fedele, le aggiunte non vanno a stravolgerla. Anzi, vanno a potenziarla, a rendere meglio l’idea.

Le scenografie

Un’alta cosa che reputiamo particolarmente degne di nota sono le scenografie, poiché anche queste sono state riprodotte con una tale fedeltà a quelle originali da fare impressione. Non sembrano ricreate, ma prese proprio direttamente dal gioco.

Inutile quindi dire che rendono perfettamente l’idea di un mondo post apocalittico, rovinato da una pandemia che ha trasformato quasi tutti quanti in zombie.

L’anno di ambientazione

La differenza più sostanziale, almeno per ora, che la serie fa con il videogioco è l’anno di ambientazione. 

In quest’ultimo, infatti, l’epidemia scoppia nell’anno 2013 (quello in cui il titolo è uscito), per poi fare un salto temporale di 20 anni ed ambientarsi quasi interamente nel 2033.
Nella serie invece, il fungo inizia a propagarsi nel 2003. Il salto temporale rimane di 20 anni e si arriva di conseguenza al 2023 (non dovrebbe essere necessario specificare perché è stato scelto proprio quell’anno).

Tutto ciò aiuta la versione televisiva a far empatizzare di più lo spettatore, poiché molte delle situazioni che vediamo le abbiamo effettivamente vissute non tantissimo tempo fa (anche se per motivazioni non COSÌ gravi). 
Sin da subito, quindi, si possono notare i personaggi mentre accennano a quarantene, coprifuochi e pandemie.

Conclusioni

Se anche gli altri otto episodi sono come il primo, possiamo dormire sonni tranquilli, poiché per ora si tratta di una delle migliori trasposizioni audiovisive di un videogioco mai realizzate. 

Certo, non ci voleva tantissimo, dato che questo tipo di adattamento delude il 99% delle volte, ma comunque, al momento, si sta facendo davvero valere.

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Nato a Bologna nel 1996, si appassiona al cinema da bambino, quando capisce gli piacerebbe lavorare in quel campo. Più nello specifico come regista e sceneggiatore. Nel 2020 apre su Instagram un profilo che chiama "Recensisco Cose Audiovisive", con cui inizia a parlare di cinema e serie televisive con altre persone che condividono la sua passione.