Il Cristo in gola – Il Vangelo secondo Antonio Rezza – Recensione

Il Cristo in gola – Recensione

Ho pazientato, ho temporeggiato, mi sono presa il mio tempo, ma adesso basta: è arrivato il momento di parlare de Il Cristo in gola, un film di Antonio Rezza, precisamente il sesto lungometraggio di questo ironico regista romano, che spero di poter incontrare un giorno, giusto per stringergli la mano e dirgli che sono Gesù.

Con questo film fuori concorso al Torino Film Festival è iniziata un po’ la mia avventura in terra straniera, lontano dal tacco d’Italia. Una volta abbandonato l’aeroporto di Caselle sulla ruggente navetta ed essermi messa in coda per ritirare l’accredito, mi sono data ad una corsa disperata per poter vedere un film coreano, un’opera prima, antologica, introspettiva, urbana. Un film che conteneva tutto ciò che cerco dalla vita e che domando a Seoul, ma cosa accade? I biglietti erano esauriti. Col cuore colmo di lacrime, camminavo su via Po, poi su via Verdi, con la sola consolazione della shopper del TFF e del cartellino con la mia foto. Urban Miths, giuro che prima o poi ti vedrò.

Eppure, non potevo crogiolarmi nel dolore e sprecare la mia giornata. Così, vidi che un’ora dopo c’era proprio il film di Antonio Rezza, nel bellissimo Cinema Romano, con le più belle sale cinematografiche della capitale piemontese. Devo dire che è stato un ottimo modo per inserirsi nello spirito del festival, nonché per iniziare una giornata.

Sin dall’apertura, si capisce che si tratti di un film satirico. Tutto il vangelo viene messo a soqquadro, citato e rivisto, ma più che una comicità fatta con le parole (i personaggi spesso producono suoni indistinti) è fatta con gli strumenti cinematografici: non c’è inquadratura che sia dritta, non c’è musica (diegetica o extradiegetica) che vada bene. Tutto, e dico tutto, è fatto come non dovrebbe essere fatto, allo scopo di far sentire smarrito lo spettatore e di farlo ridere dell’assurdità di quello che succede e dello stesso racconto biblico. Il Cristo, addirittura, diviene anche colui che mette fine al Cristianesimo, in un gioco di specchi e di combinazioni. Chissà quante cose sarebbero andate meglio se non ci fosse stata questa benedetta religione!

I miracoli si fanno farsa, il diavolo (la super star Maria Bretagna, cui è dedicato il film) è interpretato da una vecchia impicciona, che più volte propone a Gesù di andare all’estero o iscriversi alla SIAE, mentre gli dice sfacciatamente “se sei figlio di Dio, perché non fai piovere? Non ne sei capace?” E Ponzio Pilato, tra un’accusa e all’altra a Dio di non aver amor proprio e di aver creato un essere tanto imperfetto quanto l’uomo, sfida perfino suo figlio a dirgli quale faccia faccia dietro la colonna, regalando al pubblico uno splendido cambio d’abito, un vestito che gli avrebbe invidiato qualunque donna al di sopra dei sessant’anni.

Ma che meraviglia è mai questa? E l’intento, naturalmente, è ridere su, far riflettere e citare tante opere cinematografiche, in primis Il vangelo secondo Matteo di Pasolini (perfino Scorsese, quando vediamo un Cristo fattosi anziano anzitempo). Perché se in quella lontana epoca, Cristo parlava e parlava anche bene, era perché aveva tanto da dirci e da insegnarci. Era un intellettuale che voleva cambiare il mondo. Ma ora non può fare altro che produrre parole vuole, suoni disarticolati, lamenti incontrollati.

L’ha detto anche in un’intervista, il nostro caro regista, che quelle urla di Gesù e quella personale interpretazione della Pietà altro non erano che l’espressione di una “disperazione, non mia, ma dell’opera, che alla fine è una tragedia. Una tragedia esasperata, non grottesca, non manierata“. Una tragedia che è sempre un po’ nostra, di noi esseri umani che veniamo messi al mondo senza alcuna certezza su ciò che sarà, senza alcuna istruzione su come gestire le emozioni, il dolore, i tanti imprevisti di questa nostra breve esistenza. Senza alcuno scopo se non quello di trovarne un paio vivendo. Cristo, questo particolare Cristo, anti-pasoliniano e anti-zaffirelliano, è più vicino a noi di quanto possiamo credere.

Ambientato a Matera e a Ostia, il film di Rezza è una scommessa con lo spettatore, è un modo per metterlo con le spalle al muro e chiedergli: ora che il Cristianesimo è stato debellato, non è che possiamo vedercela tra di noi, senza pensare a qualche altra divinità? Non siamo in grado neppure di crearne una perfetta. Tanto vale farcene una ragione e vivere un po’ meglio. Chissà come andrebbe. Per ora, godiamoci questo bel film.

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Nasce nella provincia barese in quel del '94 con l'assoluta certezza di essere Batman. È in grado di vedere sette film al giorno e di finirsi una serie tv in tempi sovrumani. Peccato che abbia anche una vita sociale, altrimenti adesso sarebbe nel Guinness dei primati...