Everything Everywhere All at Once – Recensione
Everything Everywhere All at Once ci trascina nel vero Multiverso della Follia, dove il nonsense risponde al reale significato della vita. Scritto, diretto e co-prodotto dai Daniels, pseudonimo di Daniel Kwan e Daniel Scheinert, è giunto nelle sale italiane il 6 ottobre, distribuito dalla I Wonder Pictures.
Everything Everywhere All at Once – La trama
Il film ci racconta di Evelyn Quan Wang (Michelle Yeoh), un’immigrata cinese che gestisce, con suo marito Waymond (Jonathan Ke Quan), una lavanderia a gettoni torchiata dall’Agenzia delle Entrate. Alle prese con problemi finanziari e familiari, tra cui il rapporto con la figlia Joy (Stephanie Hsu) e l’accudimento del padre Gong Gong (James Hong), Evelyn è stressata e totalmente insoddisfatta della sua vita.
La storia inizia a prendere una piega inaspettata quando Evelyn, Waymond e Gong Gong si recano all’Agenzia delle Entrate per incontrare Deirdre Beaubeirdre (Jamie Lee Curtis), l’arcigna e ostinata impiegata che segue la loro pratica. In ascensore, la personalità di Waymond cambia repentinamente quando il suo corpo viene preso in prestito da Alpha Waymond, una versione di Waymond proveniente da un universo che chiama “Alphaverse“.
Alpha Waymond spiega a Evelyn che esistono molti universi paralleli, poiché ogni scelta fatta, anche la più piccola e insignificante, ne crea sempre uno nuovo. Nell’Alphaverse è stata sviluppata una tecnologia di “salto-verso” che consente alle persone di accedere alle abilità, ai ricordi e al corpo delle loro controparti nei vari universi circostanti.
Alpha Waymond le rivela, inoltre, che il multiverso è minacciato da Jobu Tupaki, un essere malvagio che mira a distruggere tutti gli universi, e l’unica in grado di sconfiggere questo male è la Evelyn di questa dimensione.
Seguiamo quindi il viaggio faticoso e delirante della nostra eroina che ci porterà alla scoperta dei più improbabili universi e, inaspettatamente, al significato della vita.
Il passaggio dall’americanata d’azione ad un film esistenzialista
Il pensiero “Ma cosa sto guardando? Questa volta ho davvero buttato i miei soldi” dev’essere passato per la mente di tutti gli spettatori al cinema durante la prima parte. Almeno per quelli che non vanno matti per i pacchiani film americani caratterizzati solo d’azione (anche se si tratta di arti marziali, il che gli concede almeno un punto a favore). Per quanto la prima parte ci regala sicuramente molte risate e ci introduce nel delirio confusionario che è il multiverso, ci lascia comunque un senso di insoddisfazione perché non riusciamo a capire dov’è che la trama vuole andare a parare.
Il film, però, è diviso in tre parti: la prima Everything, la seconda Everywhere e l’ultima All at Once. Ed è all’inizio della seconda parte che ci rendiamo contro che stiamo vedendo qualcosa di più profondo e potente di ciò che ci è stato presentato fino a quel momento.
In Everywhere, veniamo introdotti in quello che ci sembra un film completamente diverso ma che comunque mantiene una connessione tematica e stilistica con la prima parte. Vi è un passaggio tra lo sterile combattimento dell’eroina contro il suo nemico, al motivo principale per cui questa lotta sia priva di significato, fino ad arrivare alla morale del film in All at Once.
Alla fine, alle domande che ci siamo posti per tutto il film, giunge la risposta. Il messaggio nichilista che traboccava da tutta la seconda parte, secondo cui le scelte, la vita e l’universo stesso non abbiano il minimo senso, si sgretola.
Giunti alla fine del film il pensiero di aver buttato i propri soldi sparisce totalmente e viene rimpiazzato da un altro. “Tutto questo solo per 9 euro?” è quello che verrebbe da chiedersi, e fidatevi che detto da una che è mezza marchigiana vuol dire molto!
La rappresentazione di personaggi anticonvenzionali
Un cast grandioso dà vita a dei personaggi complessi e sfaccettati, le cui fragilità e insicurezze vengono rivelate poco alla volta.
Sono rimasta molto più che soddisfatta di trovarmi di fronte una protagonista che non rispetta i soliti canoni per quanto riguarda i film di azione, fantasy o fantascienza. Se parliamo di protagoniste femminili, abbiamo sempre a che fare con attrici giovani e attraenti. Nei rari casi in cui il personaggio deve essere, per ragioni di scrittura, over 40, viene comunque caratterizzato come “appetibile”. Pensiamo, ad esempio, ad Angelina Jolie in Maleficent.
I Daniels scelgono invece di prendere un’altra direzione. Michelle Yeoh veste i panni di Evelyn, una donna di mezz’età sfatta, stressata e burbera. Un personaggio non canonico che ti fa esaltare ancor di più quando la vedi combattere a colpi di Kung Fu, e che compie un arco trasformativo incredibile.
(Ci tengo a dire che ho visto il film insieme a mia madre, e l’espessione che aveva in viso, vedendo rappresentata un’eroina come Evelyn, avrebbe potuto facilmente competere con quella delle bimbe afroamericane mentre guardavano il trailer della Sirenetta. Quasi mi aspettavo si girasse verso di me per dirmi “E’ come me!”)
Una protagonista così è ciò che desideravo da molto, e ringrazio i Daniels per aver portato alla luce un personaggio femminile dignitoso.
Waymond, il marito di Evelyn, è invece il suo opposto. Un uomo idealista dolce e costantemente allegro, che rispecchia poco la visione del protagonista maschile in un action. Almeno finchè non viene controllato da Alpha Waymond!
E così anche i ruoli di genere sono stati smantellati. Aggiungiamoci anche le origini cinesi della famiglia, l’omosessualità della figlia Joy, e la disabilità di Gong Gong. Otteniamo così un caleidoscopio di personaggi per nulla forzato dal politically correct, che rappresentano appieno il tema della diversità.
Un multiverso caotico che acquisisce sempre più senso
Il film è pieno di citazioni, alcune più evidenti di altre, partendo dai classici film di arti marziali cinesi, passando per Matrix e arrivando alle porte della Pixar, con Ratatouille. Molte di queste sono legate alla stessa Michelle Yeoh, conosciuta proprio per i suoi ruoli in film di arti marziali, e a Jonathan Ke Quan.
Il genere del film rispecchia molto il suo titolo, perché è una commedia, un film d’azione, di fantascienza, e un dramma familiare. Insomma, tante cose tutte assieme.
Il lavoro dei Daniels è decisamente interessante, dalla regia caotica e frenetica, che varia a seconda di ciò di cui ti vuol parlare.
Prendono in mano il tema del multiverso, abusato fin troppo ultimamente, e te lo ripropongono a modo loro. Portano alla luce quello che ciascuno di noi si chiede veramente pensando alla possibilità di infiniti universi alternativi. Rispondono alla domanda: “Ma io, in un altro universo come potei essere? Sarei migliore o peggiore di come sono adesso? Più o meno felice?”
Quindi Marvel, tieniti pure i tre Spiderman che scorrazzano in giro contemporaneamente e Doctor Strange che combatte con le note musicali. Dai su, prendi e porta a casa. Questo è ciò che ci fa davvero uscire fuori di testa, soprattutto per come viene affrontato.
Nel delirio che è il multiverso da loro creato, il film affronta altri temi importanti, primo fra tutti, il rapporto tra un genitore e il proprio figlio, e parallelamente anche il rapporto tra moglie-marito, passando per un processo di autodeterminazione.
Il multiverso – Espediente per parlare delle insicurezze e dei legami familiari
Era da un sacco di tempo che non vedevo un film che affrontasse certi temi con la stessa delicatezza e profondità di Everything Everywhere All at Once. La prima parte ti fa ridere e ti introduce il multiverso seguendo uno stile action comedy, e abbassa le tue difese illudendoti si tratti di un prodotto quasi demenziale. Con la seconda parte, invece, ti sbatte in faccia, forte quanto la ciabatta lanciata da tua madre incavolata, le debolezze che in qualche modo ci contraddistinguono tutti.
“Se niente conta, allora tutto il dolore e il senso di colpa che provi per non aver fatto nulla della tua vita se ne vanno… risucchiati in un bagel.” – Jobu Tupaki
Il personaggio di Jobu, che collegandosi a tutte le sé del multiverso sente in ogni momento le loro sofferenze, si ritrova a guardare l’intero universo in modo sempre più nichilista, depresso e senza speranza, trova una sua consolazione nel pensiero che “nulla importa” e che tutto ciò che ci circonda sia privo di significato. Questo concetto viene enfatizzato ancor di più nella rappresentazione del Multiverso caotico e dissonante in cui viene sbattuta Evelyn.
Il pensiero del “nulla ha senso” la rassicura nel momento in cui soffre profondamente pensando di non aver realizzato nulla nella sua vita, e in tutte le altre vite. E’ un pensiero che da un certo punto di vista, riesce a consolare anche noi spettatori. Se considerassimo i nostri fallimenti privi di importanza, perché tanto niente di ciò che accade nell’universo ha un senso, allora non ne soffriremmo più.
Jobu non riesce più a sopportare il dolore delle altre sé e, convinta che non potrà mai essere felice, ha come unico obiettivo quello di smettere di esistere. Questo la porterà quindi a creare l’Everything Bagel per essere risucchiata da esso e morire davvero.
Non vuole, però, andar via da sola. Vuole l’unica persona in grado di capirla, ovvero Evelyn, collegata anche lei alle altre sé del multiverso.
Colpisce il modo in cui, un pensiero che all’inizio può farci sentire più leggeri, togliendo importanza alle cose negative che ci accadono di continuo, alla fine ci porta a levare importanza anche a noi stessi. Ma qui entrano in gioco Evelyn e Waymond, e la vera morale del film.
“Ho visto la mia vita senza di te. Avrei voluto che l’avessi vista anche tu… era bellissima” – Evelyn Wang
Abbiamo già detto che la Evelyn di questo universo è la sua versione peggiore e per questo è l’unica in grado di salvare il mondo. Quindi, quanto potrà sentirsi amareggiata nel vedere le altre sue versioni affermate, indipendenti e, apparentemente, felici? Incolpa il marito per averla bloccata in una vita piena di sofferenze e fallimenti. E’ cosi entusiasta delle Evelyn presenti nel multiverso da non accorgersi di ciò che invece possiede in questa vita.
Alla fine, seguendo un po’ il pensiero di Jobu, del fatto che “nulla ha importanza“, capiamo quanto ciò che affligge Evelyn sia inutile. E’ assurdo provare rimorso per scelte già compiute, continuando sempre a pensare “E se…”, sopratutto quando non è detto che le altre scelte sarebbero state migliori. Il paradosso di questa situazione è che se fosse stata la Evelyn ricca e affermata, campionessa di Kung Fu, avrebbe comunque rimpianto di non aver scelto di scappare con il suo amore giovanile e costruirsi una famiglia.
Il messaggio che ci passa il film è “Smettila di pentirti delle scelte passate e sii grato per ciò che hai“. Sembra un po’ il pedante consiglio che darebbe il prete della parrocchia di quartiere, ma ha comunque un suo valore.
Quello che scopre Evelyn durante la sua evoluzione è che in questa vita ha già cose per cui essere felice. Ha una famiglia che la ama ed è pronta a sostenerla, e può ancora inseguire la sua felicità, anche se si dovrà destreggiare tra bucato e tasse.
“Pensi che, visto che sono gentile, significa che io sia ingenuo, e forse è così. E’ una strategia ed è necessario. E’ cosi che io combatto” – Waymond Wang
Waymond viene definito fin da subito dalla stessa Evelyn come lo “Stupido marito” e, per quanto spietato, all’inizio sembra corrispondere al vero. E’ ironico scoprire che sarà lui a dare la risposta che abbiamo atteso per tutto il film.
Il modo in cui Waymond affronta la sua vita, costellata da non poche difficoltà, è attraverso l’empatia e la gentilezza. Cerca sempre il lato positivo e continua a sperare che le cose prima o poi volgeranno al meglio ed è esattamente questa la soluzione al problema del “nulla ha senso“.
Se è vero che l’intero universo non ha alcun senso, questo vuol dire che il “senso” dobbiamo darglielo noi. Trovare ciò che ci rende felici in un mondo pieno di cose prive di significato è l’unica cosa che conta.
Questo film molto probabilmente non piacerà a tutti, soprattutto a chi ha la capacità emotiva di un tostapane… Per tutti gli altri vi invito caldamente a vederlo, nel caso non l’abbiate ancora fatto. Non ve ne pentirete!
Vota o Commenta