Questa puntata di Black Mirror dal doppio senso sia nel titolo che nella trama è un vero spettacolo sia per chi conosce la serie e l’ha seguita fino a qui, sia per chi non l’ha mai vista prima; il solito gioiellino che potrebbe essere definito film breve.
Black Museum è l’ultima puntata della quarta serie di Black Mirror. Gioca sulla parola black trattandosi non solo di un omaggio a tutto ciò che abbiamo visto fino a questo momento nella serie, ma anche di un racconto di terribile errore giudiziario mischiato a razzismo.
La nostra protagonista entra in questo Black Museum per visitare quella che è a tutti gli effetti l’esposizione di ogni singola puntata di Black Mirror. Tutta la tecnologia usata o anche solo alcuni degli oggetti iconici sono all’interno di teche di vetro perché tutti li possano ammirare.
Abbiamo il congegno con cui Robert clonava i suoi colleghi in USS Callister, abbiamo la vasca da bagno teatro del feroce omicidio in Crocodile, abbiamo l’ape drone di Hated in the Nation, il tablet di Arkangel… un vero e proprio museo della serie fino a questo momento.
Ma la puntata offre di più, offre ben tre nuove storie che già sono parte del museo, ma che noi ancora non conosciamo. Il proprietario dell’esposizione funge da guida per la nostra protagonista, unica visitatrice del museo, e presto si trasforma anche in narratore; la puntata assume subito il sapore di Tales from the Crypt. I racconti hanno il supporto visivo, li vediamo accadere su schermo, ma anche solo la voce fuoricampo della guida del museo basterebbe a rendere avvincenti le storie.
La prima ci narra di un medico che decide di farsi impiantare nel cervello una tecnologia sperimentale che consente di sentire le sensazioni degli altri, tramite collegamento. A lui serve per tutti quei casi in cui i pazienti non riescono a descrivere il dolore che provano e la diagnosi diventa più difficile. Con quell’impianto il dottore riesce a “sentire” malattie e danni al corpo dei pazienti in tempi utili, a curarli e salvarli.
Tutto va a meraviglia fino a che il dottore non scopre che il dolore che provano gli altri, soprattutto in punto di morte, è qualcosa di cui lui non può più fare a meno. Di questa storia sconvolge la plausibilità, nonostante l’impossibilità di attuazione. E come sempre la tecnologia presentata ha del miracoloso, non fosse che poi viene usata ed abusata nel peggiore dei modi.
Sia in campo di sensazioni fisiche che in campo di sensazioni morali potersi mettere nei panni di qualcun altro risolverebbe tanti di quei problemi nel mondo da non poterci credere. L’empatia e la capacità di provare a comprendere il dolore di un’altra persona sta alla base di qualsiasi rapporto sano.
Non si può pensare che ciò che proviamo noi sia ciò che sicuramente prova un altro, e questo vale sia per le emozioni sia per le sensazioni fisiche. Aiuterebbe un congegno che mostri senza alcun dubbio quanto diverse siano le reazioni sia fisiche che morali di ogni singola persona. In più, se avessimo tutti impiantato un congegno che permette di provare il dolore di un’altra persona ci penseremmo due volte prima di infliggerlo. La rappresentazione fisica del detto Non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te. Ipoteticamente.
In questa puntata di Black Mirror si passa presto dall’usare questa tecnologia allo scopo di aiutare gli altri, all’usarla per scopi personali.
Il dottore prova la scarica di endorfine di un paziente che sta morendo e da quel momento in poi tutta la sua vita sarà spesa ad inseguire quella particolare sensazione provata. Una sensazione che non può essere replicata se non avendo la vita di un altro essere umano nelle sue mani, un essere umano che non solo sta morendo, ma che è anche terrorizzato dall’idea di morire. E il nostro buon dottore si trasformerà da supereroe a pazzo sadico e killer nel giro di qualche minuto.
Sembra la genesi di un villain dei fumetti. E anche in questo caso la tecnologia che agisce sul cervello è quella che provoca i maggiori danni nel più breve tempo possibile ed è quella su cui, logicamente, si hanno meno certezze: ognuno reagisce in modo diverso alle stimolazioni cerebrali.
Anche la seconda storia che la guida ci racconta parla di condivisione; di emozioni e sensazioni condivise da due esseri umani.
I protagonisti sono una coppia etero che viene colpita da una disgrazia: a causa di un grave incidente lei finisce in coma per anni.
La tecnologia va in loro soccorso proponendo qualcosa di assurdo che personalmente non accetterei nemmeno per riavere accanto la persona che più amo al mondo. E non perché l’idea di provare qualcosa del genere non mi piaccia, ma perché ogni cosa che appare buona sul breve periodo quando diventa per sempre è qualcosa di insopportabile.
Lui decide di farsi impiantare la coscienza di lei nel cervello, come se lei fosse un passeggero sempre lì, al suo fianco, a provare ciò che prova lui, ad “usare” il suo corpo, lei che un corpo non l’ha più. Capirete il problema.
Cioè, il problema si vede lontano un miglio e si vede subito, manco sul lungo periodo. Puoi amare una persona con tutto il cuore, ma l’amore non è condivisione fino a quel punto. Amerei provare qualcosa del genere, ma se fosse per pochissimo, se fosse reversibile. Non accetterei per sempre nessuna delle due opzioni: né portare qualcuno come passeggero, né farmi portare.
L’assurdità è che lui accetta e accetta in base al rapporto che avevano prima che lei avesse l’incidente, un ottimo rapporto, e accetta in base a ciò che di lei ha potuto vivere, ma soprattutto in base a ciò che di lei non ha potuto vivere. Il loro era un amore giovane, troncato troppo presto, insieme non avevano ancora potuto vivere tante difficoltà che minano i rapporti normali, figuriamoci un rapporto che prevede la condivisione di un corpo.
Qui la scelta di Black Mirror è di trasformare lei in una stronza quasi istantaneamente. Non sono d’accordo con lo svolgimento dei fatti, ma mi limito ad analizzarne i risultati. Lei si lamenta di cose di cui oggettivamente, in una situazione del genere, non dovrebbe fregarle nulla. Lui si lamenta di cose a cui era facile pensare prima di prendere una decisione drastica ed immutabile come quella.
L’amore non è costante condivisione di spazi e momenti privati, è impensabile continuare ad amare l’altro se l’altro è in tutto e per tutto dentro la tua testa, sa costantemente quello che pensi e quello che vuoi fare. Ripeto: bellissimo da poter sperimentare di tanto in tanto, ma ventiquattr’ore su ventiquattro decreta la nascita di insofferenza e odio nei confronti dell’altro.
E così è per la nostra coppia; la cosa terribile è che ciò che è stato fatto all’inizio per amore si trasforma in pura tortura quando lui decide di mettere in pausa lei per giorni, settimane, mesi. La pausa prevede che lei ricominci a “vivere” quando lui le consente di tornare e quindi lei si perde giorni e giorni a seconda di quando lui la richiama.
E siccome lui ritiene che la cancellazione sia inumana, perché sarebbe come decretare la morte della donna, opta infine per far trasferire la coscienza di lei in un peluche, un orsetto, che ovviamente non può comunicare come un umano e che personalmente considero una soluzione decisamente peggiore della morte. Come il grande amore di lui sia giunto a questa atrocità rimane un mistero.
La mia considerazione è che spesso una cultura sbagliata porta a credere che vivere in ogni caso sia sempre la cosa migliore e chi si trova nella posizione di dover scegliere per la vita di qualcun altro tende a scegliere la vita, qualunque essa sia, più per stare meglio con se stesso che per fare il bene dell’altra persona. Credo che lui abbia fatto proprio questo ragionamento: la tengo nel peluche così non muore ed io non divento quello cattivo. Terrificante.
La terza storia, che non solo chiude questo episodio di Black Mirror, ma che scopriamo anche essere il suo filo conduttore, parla di errori giudiziari e razzismo. Parla soprattutto di qualcosa che io mi chiedo dalle prime puntate, da quando ho cominciato tutta questa analisi della serie.
Nell’ipotesi di avere una tecnologia che ti consenta di punire i criminali e i colpevoli in modo esemplare, di far soffrire in eterno chi merita, si può usare con sicurezza avendo la certezza di punire sempre e solo chi se lo merita davvero? Fino ad ora Black Mirror ci ha detto di sì, ci ha dato soddisfazione con puntate come White Bear, Shut Up and Dance, White Christmas, USS Callister. Lì i colpevoli erano cosa certa, la punizione era desiderata.
Invece qui abbiamo il primo esempio di errore madornale, di punizione estrema, terribile, dolorosissima ed eterna inflitta ad un innocente. È come se, proprio nella puntata dedicata a Black Mirror, la serie abbia voluto puntare i riflettori su uno dei temi più trattati ed uno di quelli a me più cari.
La dannazione eterna certa gente se la meriterebbe proprio; nemmeno venti ergastoli basterebbero e di sicuro nulla farebbe una sedia elettrica. Quando il colpevole è certo la dannazione eterna è giusta.
Ma se si sbaglia? Quando il colpevole non è certo? Quando una serie di eventi e, insieme a quelli, lo spettro del razzismo crea un colpevole che non esiste cosa succede?
Succede che l’umanità intera si macchia di un delitto irrecuperabile. E, certo, qui ci viene mostrata una dannazione eterna che non esiste, grazie al cielo, ma ciò non toglie che di errori giudiziari è piena la storia, di innocenti mandati a morire o soffrire è piena la storia, di esempi di razzismo o fobie varie che hanno rovinato la vita di innocenti è piena la storia.
Nulla di nuovo neanche in questo racconto, dunque. L’unica magra soddisfazione ce la dà come al solito la fine della puntata e la punizione estrema e al di fuori della giustizia che la protagonista infligge da sé, prendendosi da sola la sua rivincita.
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