Diabolik – Recensione – Manetti Bros.

Diabolik – Recensione – Manetti Bros.

Diabolik dei Manetti Bros., seconda trasposizione del fumetto ideato da Angela e Luciana Giussani negli anni ’60, è approdato in sala lo scorso 16 dicembre ed ha riscosso pareri parecchio contrastanti da parte del pubblico e della critica.

Si tratta di un ulteriore passo avanti per il cinema di genere nostrano o di un progetto fin troppo ambizioso per considerarlo pienamente riuscito?

Una distribuzione turbolenta

Elencare le turbolenze che hanno colpito la distribuzione del film sembrerebbe quasi superfluo, ma ancora tutta da scrivere è la risposta di Diabolik. L’uscita, inizialmente prevista per il 31 dicembre 2020, è stata poi rimandata al 16 dicembre 2021 a causa della pandemia in corso. Se da un lato la collocazione della pellicola in sala durante le feste natalizie risulta intelligente e potenzialmente fruttuosa, la minaccia di Spider-Man: No Way Home potrebbe inevitabilmente comprometterne gli incassi, portandoli ben al di sotto del previsto e dell’auspicato. In effetti così sembrerebbe essere, ma gli 800mila euro incassati dal film dei fratelli Manetti nel primo week-end, a fronte di un budget di circa 10 milioni, seppur al di sotto delle aspettative, potrebbero aumentare, se non nella migliore delle ipotesi lievitare, nelle prossime settimane di programmazione. Inoltre si segnala come siano già in produzione altri due capitoli, diretti nuovamente dai Manetti Bros., che insieme al film posto in esame in questa recensione andranno a formare una trilogia sul criminale fumettistico più famoso d’Italia.

Rispetto per il fumetto e il film di Bava

Sorge spontaneo e attraverserà l’intera durata della recensione il confronto con il primo adattamento cinematografico di Diabolik, arrivato nel 1968, ad appena sei anni dalla creazione del personaggio, sotto la regia di Mario Bava. È evidente come Antonio e Marco Manetti siano guidati, nella realizzazione del film, da una profonda passione per il mondo fumettistico, un rispetto quasi sacrale per le storie e i personaggi della carta stampata. Ed è altrettanto chiaro come la loro ammirazione non si limiti soltanto al fumetto, ma anche al già citato film di Mario Bava. Questa devozione ai due materiali di partenza si traduce in un lavoro ben attento alla ricostruzione della diegesi originale, con una Clerville vivida, un’ottima ricostruzione degli anni ’60 negli usi e nei costumi, con attenzione alle personalità dei personaggi principali, che riesce a mantenere in parte l’animo pop ed ironico del film del 1968, particolarmente distante dal materiale d’origine, ma allo stesso tempo funzionante nel suo essere colorato, farsesco e perfettamente inserito nel contesto degli anni di produzione.

Scelte registiche discutibili

Nonostante si riconosca la piena consapevolezza autoriale dei registi di Diabolik, non si può negare come siano proprio delle loro peculiari scelte registiche a risultare particolarmente discutibili. Nel tentativo di restituire la freddezza glaciale e calcolatrice di Diabolik si perde, inevitabilmente, la sua sensualità, perfettamente restituita in Eva Kant, interpretata da una Miriam Leone pienamente in parte, entusiasta ed entusiasmante. Allo stesso tempo l’eccessiva presenza di dialoghi sussurrati finisce per sbilanciare momenti di pathos e tensione, presentando delle situazioni piatte e, talvolta, dalla involontaria comicità. Se in alcuni casi, come nel rapporto nascosto e da nascondere tra Diabolik ed Eva Kant, questa scelta appare comprensibile, nonostante sia reiterata oltremisura, in altri è inevitabilmente fuori luogo. L’intensità, che si vuole restituire bisbigliando le linee di dialogo, non è molto spesso restituita anche dagli altri elementi della messa in scena: su tutti si può citare la rivelazione di Diabolik ed Eva Kant e il loro successivo innamoramento, frettoloso, privo di alcun tipo di pathos e tensione erotica.

Pop e fumettoso

Si è capito come la regia degli attori appaia straniante all’occhio degli spettatori, così come, in alcuni momenti, a dare segni di cedimento sembra proprio la sceneggiatura, soprattutto con dialoghi forzati e poco credibili. I fatti raccontati nel film sono prevalentemente tratti dal terzo albo della serie originale, L’arresto di Diabolik; è innegabile come, però, sia per i lettori del fumetto che non, le vicende narrate risultino piatte, prevedibili, senza alcun particolare guizzo. E a onor del vero, soprattutto nella prima metà del film, riesce difficile creare quella sospensione dell’incredulità tanto importante per prodotti di intrattenimento di questo tipo. E se a risultare fastidiosa è anche un’eccessiva dinamicità della macchina da presa – con continui movimenti di macchina e long take anche laddove, come nel caso dei dialoghi, sarebbe bastato un semplice campo-controcampo – bisogna spezzare una lancia a favore di alcune scelte registiche centrate. Si fa riferimento a tutte quelle trovate estetiche volte a restituire la natura fumettistica del soggetto e quella pop, sopra le righe e scanzonata del film di Bava: tagli di luce espressionistici, sequenze in split-screen, sovrimpressioni, zoom a schiaffo, il taglio delle inquadrature durante il lancio dei coltelli.

Qualche punto a favore

Tra gli elementi a favore della pellicola non si possono non citare le bellissime musiche di Pivio e Aldo de Scalzi, a metà tra Bernard Hermann e un gusto pop, con tinte alternative rock, tutto italiano incarnato dalle due canzoni originali interpretate da Manuel Agnelli, “La profondità degli abissi” e “Pam pum pam”. Nonostante, come già scritto, per via di scelte di direzione attoriale spesso non ci troviamo di fronte ad interpretazioni centratissime, non si può negare lo star power di Diabolik, con personalità del calibro di Miriam Leone, Luca Marinelli, Valerio Mastandrea, Claudia Gerini e Serena Rossi. Tra i citati, Miriam Leone risulta la stella assoluta della pellicola, dimostrando un carisma innato capace di bucare lo schermo e una dote attoriale affinata negli anni, incarnando quello che potrebbe sembrare un segno di rinascita di un fenomeno divistico italiano, apparentemente dormiente dai tempi di Sophia Loren, Monica Vitti e compagnia bella. E se l’impegno profuso nella realizzazione del film da parte della Leone si presenta come lodevole, cogliendo tutto il suo entusiasmo anche nelle svariate interviste rilasciate durante la campagna promozionale della pellicola, lo stesso non si può dire per Luca Marinelli. Potrebbe essere un caso, ma l’abbandono del progetto da parte dello stesso, che in occasione del secondo capitolo della trilogia sarò sostituito da Giacomo Gianniotti, sembra spiegare la natura del suo lavoro nel film preso in esame. Il personaggio appare in molte fasi volutamente “catatonico” (termine pronunciato a più riprese dai personaggi del film), ma ciò non toglie come l’interpretazione di Marinelli risulti piatta, svogliata, priva di una qualsiasi stratificazione e incapace di comunicare alcunché. Convincente è invece all’interno del buon costume di Diabolik. Buono il lavoro di Valerio Mastandrea, nonostante la continua ripetizione del gesto di portare la pipa alla bocca finisca per dare noia.

Eva Kant, protagonista assoluta

Nonostante ad intitolare il film, e il fumetto, sia Diabolik, la vera protagonista e vincitrice morale di questo racconto filmico è Eva Kant, capace di rompere lo stereotipo di “mogliettina”, donna del protagonista o mero oggetto del desiderio maschile. Il personaggio di Miriam Leone è in pieno controllo della sua vita, motore della relazione sentimentale con Diabolik, incapace di restare ingabbiata in uno stereotipo o di stare ferma a guardare. In questo si fa un enorme passo avanti rispetto a molte delle pagine fumettistiche e al film di Mario Bava, in cui, nonostante l’ottimo lavoro di Marisa Mell, la rappresentazione del personaggio risulta fin troppo ingabbiata in una visione della donna tipica dei tempi.

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Classe '01, palermitano dislocato a Bologna, di giorno è uno studente del DAMS, di notte si trasforma in un imperscrutabile accumulatore di materiale nerd: dvd e blu-ray di film e serie tv, libri e fumetti (esclusivamente Dylan Dog e Diabolik). Cinefilo patriota, mette il cinema nostrano davanti a tutto: consigliategli un film di genere italiano anni '70/'80 (preferibilmente horror, preferibilmente Fulci) e sarà vostro. Tra i suoi registi preferiti si denotano anche Brian De Palma, Clint Eastwood, Quentin Tarantino, Dario Argento, Carlo Verdone e David Cronenberg.