The French Dispatch è la nuova fatica di Wes Anderson che mette in campo una regia sopraffina. Ecco la nostra recensione!
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Mio Dio! Ma parla di noi!
Chi vi scrive vive in un limbo tra amore ed odio verso Wes Anderson. Se da una parte è innegabile il suo talento tecnico e la sua capacità di avere una visione così personale ed originale, spesso accade che la sua bravura resti fine a sé stessa. Questo The French Dispatch, a parer mio, risulta essere l’ennesimo grandissimo esercizio di stile. Grandissimo, aggettivo superlativo assoluto volutamente scelto per sottolineare come la regia di questo lungometraggio sia esteticamente ineccepibile.
La trama è più che semplice: The French Dispatch descrive la redazione dell’omonimo giornale americano con sede in Francia. Il film è diviso in episodi corrispondenti agli articoli della rivista, narrati dal (o dalla) giornalista autore (autrice) dello scritto. Gli episodi, come in un vero giornale, variano da argomenti di cronaca a speciali di arte contemporanea, politica e culinaria. Il cast, numeroso ed affermato, riesce sempre e comunque a donare personalità ad ogni singolo personaggio rendendoli, quasi tutti, memorabili.
L’argomento trattato è una dichiarazione di amore verso l’arte del giornalismo da parte del regista, apprezzando la capacità di adattare storie reali alla forma articolata per la lettura giornalistica. Peccato dunque che sia proprio la scrittura il punto debole di The French Dispatch: ogni episodio per quanto caratteristico sembra fine a sé a stesso, con una morale certo, ma di non facile accesso allo spettatore occasionale, complici anche la grande quantità di linee di dialogo rapide ed articolate.
Eccellenza tecnica
Se dal lato scrittura ho quindi qualche piccola contestazione da fare, per quanto concerne il lato estetico non posso fare altro che alzare le mani in segno di resa. Wes Anderson dà vita ad un prodotto meraviglioso da guardare ed ascoltare: la regia personale del regista è palese e sa concedersi dei movimenti di camera geniali, la colonna sonora ci accompagna per tutta la durata del film soave e delicata ed infine la fotografia. Proprio su quest’ultima mi soffermerei, visto il mio background.
La fotografia di The French Dispatch risulta camaleontica, cambia in base all’emozione che vuole comunicare. Si passa da un’inquadratura in bianco e nero ad una a colori giusto il tempo di uno stacco per poi ritornare com’era. La camera fissa permette giochi di composizione puliti, ordinati e funzionali utilizzandoli spesso come mezzo stesso per provocare comicità, in combo con il montaggio ovviamente. Montaggio che sa rendersi protagonista spesso e volentieri con split screen, tagli fulminei e campi e controcampi comici a dir poco.
Al netto di qualche carenza dello script, Wes Anderson si diverte e diverte il pubblico giocando con la sua tecnica per regalarci l’ennesimo bel film, seppur lontano dal capolavoro che fu L’isola dei Cani. Nonostante questo, la visione di The French Dispatch è consigliata a chiunque ami il cinema e a chiunque abbia voglia di una commedia esuberante e lontana dallo stile classico.
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