The Guilty (2021) – Recensione – Antoine Fuqua

The Guilty (2021) – Recensione – CinemaSenzaVolto 

Remake dell’omonimo danese, The Guilty (disponibile su Netflix) preserva gli ottimi presupposti del film di Möller senza però offrirne una rilettura originale

The Guilty (2021) – Recensione – La trama

Scritto da Nic Pizzolatto (creatore di True Detective) e diretto da Antoine Fuqua, The Guilty è il remake dell’omonimo film danese di Gustav Möller, a sua volta disponibile su Amazon Prime Video.

I 90’ minuti di pellicola narrano le vicende che coinvolgono Joe Baylor (Jake Gyllenhaal), ufficiale della polizia di Los Angeles occupato nel turno di notte presso il call center del 911, letteralmente inondato dalle innumerevoli richieste d’aiuto dovute ad un grave incendio scatenatosi sulle colline di Hollywood.

Come spesso avviene nel cinema di Fuqua, il pericolo che minaccia l’incolumità di un innocente e l’azione cui è chiamato il protagonista-eroe portano alla luce i fantasmi e le sofferenze di quest’ultimo, determinando un repentino cambio di direzione nel suo percorso di vita.

The Guilty (2021) – Recensione – Gli ottimi presupposti

Partiamo dai punti di forza di questo film.

Prima di tutto, Jake Gyllenhaal. Ça va sans dire.

L’attore statunitense riesce a calarsi perfettamente nel ruolo di Baylor e a mettere in scena i suoi demoni interiori con grande naturalezza.

È lui, per ragioni non solo di sceneggiatura ma anche e soprattutto di intensità interpretativa, a reggere l’intera pellicola, i cui eventi si dipanano tra una stanza e un corridoio della centrale, dalle 19.08 della domenica alle 6.22 del lunedì successivo.

L’emotività dello spettatore è chiamata in gioco non tanto dall’emergenza che Baylor è chiamato a gestire, quanto piuttosto dalla modalità attraverso la quale essa viene presentata. Preservando il concept (e non solo, come vedremo di seguito) dell’originale danese, il film di Fuqua si affida totalmente alla potenza del sonoro, ovvero alle voci degli individui coinvolti, costruendo l’effetto finale sullo scarto tra la realtà dei fatti e la libera interpretazione che scaturisce dalla narrazione di questi ultimi.

In qualità di spettatori, la nostra considerazione degli eventi non può che essere frutto del complesso verbale e paraverbale prodotto dai soggetti coinvolti, nonché della prospettiva distorta attraverso la quale siamo costretti ad osservare, vale a dire quella di Baylor e del trascorso turbato con cui sta facendo i conti.

L’unità di tempo e spazio, unita al senso di alienazione e di impotenza dovuto ad una gestione esclusivamente da remoto dell’emergenza (per via telefonica), concorrono allo sviluppo di un’angosciante sensazione di claustrofobia, che esalta le potenzialità thriller della storia.

The Guilty (2021) – Recensione – Cosa si intende davvero per “remake”

Come è possibile notare, i presupposti narrativi e cinematografici per un film di ottima fattura c’erano tutti.

Per chi ha avuto modo di confrontarla con l’originale di Möller, l’opera di Fuqua ha, tuttavia, le sembianze di un’occasione sprecata.

Esempi di grandi remake nella storia del cinema si contano a bizzeffe: Suspiria di Guadagnino, La Mosca di Cronenberg, Scarface di De Palma – talmente bello e iconico che oggi in pochi ricordano essere in realtà una rielaborazione del classico di Hawks. Questi, come tantissimi altri capolavori, sono divenuti pietre miliari del cinema poiché chi li ha pensati e adattati alla scena ha saputo far propria la materia originale, partire da essa preservandone alcuni dei suoi presupposti e dandone poi un taglio, una veste, un patrimonio interpretativo unico. Il tutto attraverso enorme lavoro di rielaborazione del “vecchio” e di sintesi col “nuovo” – un processo che a dire il vero sottende qualsiasi tipo di forma d’arte (che parta o meno da un “originale”).

The Guilty (2021) – Recensione – Cosa è mancato in The Guilty

Sono queste le dinamiche, del tutto assenti in The Guilty, che conducono, a mio parere, ad una parziale svalutazione dell’opera di Fuqua.

A confronto con l’originale danese, il remake americano corre infatti il rischio di figurare come copia passiva del film di Möller: in The Guilty, Fuqua mantiene intatti intreccio narrativo, dinamiche spazio-temporali e persino dialoghi, agendo sugli unici elementi che, forse, sarebbe stato meglio preservare per non intaccare l’atmosfera ansiogena e claustrofobica che l’originale danese sviluppa con maggiore intensità. La versione americana sceglie infatti di attenuare l’asprezza della storia e di chiarire elementi che, nell’originale, erano stati lasciati volutamente impliciti allo scopo di stimolare ulteriormente l’interpretazione dello spettatore.

Ne risulta, di conseguenza, una notevole perdita di atmosfera che, chi ha avuto modo di confrontare i due film, avrà sicuramente percepito.

Il grande demerito di Fuqua e di Pizzolatto sta quindi nel fatto di non aver sfruttato a pieno il grande potenziale interpretativo, narrativo e cinematografico offerto dalla pellicola danese, che finisce con l’essere semplicemente “americanizzatasenza alcun significativo sforzo di rilettura.

Classe 1996, nata a La Maddalena ma cresciuta a Bari, è laureata in Traduzione specialistica. È una grande appassionata di film, serie tv e libri, su cui ama discutere e confrontarsi. Si è da poco addentrata nel magico mondo dei giochi da tavolo e, in particolare, dei giochi di ruolo. Crede fermamente nell’idea che “la bellezza salverà il mondo”, motivo per cui attribuisce all’arte e all’intrattenimento un valore assoluto.