At Dead of Night, The Medium – Due parole

Vorrei spendere due parole su At Dead of Night e The Medium, due giochi che ho seguito da spettatrice e che hanno molto da offrire.

Sono stata solo spettatrice di At Dead of Night e The Medium perché, come forse ho già detto, io spesso prendo i videogiochi come film da guardare, non ci gioco subito, forse mai, dipende da quanta ansia mi mettono; ma ogni volta non vedo l’ora di guardarli e lo stesso è accaduto con questi due titoli. Io faccio colazione la mattina alle cinque con in sottofondo un video di ciò che seguo in quel momento e mi diverto da matti. Ho macinato serie televisive e saghe in quel modo. Da Brooklyn Nine-Nine a tre o quattro giri completi di tutti i film degli Avengers, pure interi libri, a volte, perché mentre faccio colazione posso anche leggere.

Ma il meglio di me l’ho dato con i video dei gameplay, le cui visioni ormai si aggirano attorno alle centinaia, per non parlare di quelli riguardati più volte. Ho seguito due giochi, At Dead of Night e The Medium, che trovo simili nel contenuto di base, spiriti e comunicazione aperta con gli stessi, ma molto diversi per atmosfera e modalità di gioco.

È vero che non avendoci giocato non posso trasmettere alcuna informazione riguardo alla fluidità dei comandi, a quanto sia più o meno frustrante eseguire certe azioni, non ho l’esperienza della giocabilità. Ma credetemi che osservando un gameplay e ascoltando ciò che il gamer dice e come affronta le situazioni, si ha una comprensione piuttosto buona di quale potrebbe essere la sensazione immergendosi nel gioco da giocatore.

Entrambi i titoli citati hanno una gran quantità di comandi da utilizzare e di cose a cui prestare attenzione.

Quando si dice che essere un gamer significa avere molti skills di cui disporre nel corso di un gioco, a me vengono in mente proprio giochi come questi in cui mentre fai una cosa ne devi pensare un’altra ed essere anche piuttosto veloce.

At Dead of Night è avvincente, a mio parere, più per le storie che si completano mano a mano comunicando con gli spiriti che per la trama che fa da sfondo a tutto il gioco che, se vogliamo, è molto banale: ci si ritrova chiusi in un hotel con uno psicopatico che cerca di farci la pelle. Posso dire che certe trame mi hanno così tanto stufato da farmi scappare veloce anche di fronte ad un film che ne abbia una simile.

Che palle, ragazzi. Basta. E poi sempre le donne inseguite da ‘sti cavolo di serial  killer. Non se ne può più.

Detto questo, è chiaro che uno cerca di passare sopra alla banalità (che altro posso fare?) giusto per vedere se c’è qualcosa di buono da salvare e devo dire che il gioco mi ha preso. Jimmy, lo psicopatico di turno, è una figura che riesce ad agitare.

 

Lo senti camminare e minacciarti per tutto l’hotel, che lui conosce molto bene perché è suo, quindi suo territorio, mentre tu hai la possibilità di passare da una stanza all’altra e nasconderti, stando molto molto attenta, mentre indaghi su Jimmy grazie all’aiuto di tutti ‘sti poveri spiriti, persone che hanno avuto a che fare con lui in passato. Questa è la parte originale del gioco.

Forse i racconti degli spiriti non lo sono poi tanto, di troppi killer e serial killer, pure veri, ho letto le storie perché qualcosa possa ancora stupirmi, ma almeno il fatto che i fantasmi della gente uccisa si prendano una sorta di rivincita raccontando cos’è accaduto loro è una cosa che apprezzo moltissimo.

In tutto ciò At Dead of Night è proprio una sorta di film con cui puoi giocare, un live-action in cui devi pianificare le tue mosse per riuscire a sfuggire a Jimmy, che sembra essere sempre un passo avanti a te. Una delle funzioni più divertenti che si può usare è quella di chiamare lo psicopatico da una parte per poi scappare dall’altra ma, almeno nei gameplay che ho seguito io, quel tentativo non è mai riuscito troppo bene.

 

Il risultato dell’essere beccati da Jimmy è una sonora bastonata in testa e l’essere trascinati in una stanza con qualche chiave raccolta mancante. Vi assicuro che per come è fatto il gioco vedersi comparire Jimmy davanti all’improvviso fa saltare per aria, ma di fatto non è un game over e quello toglie un po’ del pathos che il morire e ricominciare da un punto precedente può suscitare.

Per il resto è più un gioco fatto di dialoghi con gli spiriti che si sbloccano a seconda delle cose che vedi in ogni stanza. Non si raccolgono molti oggetti, a parte le chiavi per aprire e chiudere le stanze, e le vere azioni sono tutte legate alla fuga. Se si è bravi, si può perfino riuscire a chiudere Jimmy nel bagno della stanza e lasciarlo lì per un po’ a riflettere sulla sua vita, ma non l’ho mai visto succedere.

Ma ragazzi, The Medium… Cosa non è The Medium!

Pare di vedere Control: un milione di azioni da compiere, un milione di comandi da imparare e la soddisfazione di vederlo proseguire è immensa. Non ho parole.

A differenza di Control, però, The Medium per me è troppo stressante anche solo da guardare. Non so quali siano i responsi ricevuti dal gioco, ma io sono in awe. Un po’ è merito del mostro di turno, che in questo caso è interpretato da Troy Baker, quindi rimane difficile scappare da lui con convinzione, e un po’ è per tutto tutto il resto.

Marianne, la protagonista, è un piacere da guardare e sentire. Nel senso che i movimenti del gioco sono fluidi, quando cammina, quando corre, nelle cutscenes. L’atmosfera è a metà tra la serie Chernobyl, un altro capolavoro di cui ho già parlato, e Silent Hill che ha comunque ispirato il gioco e si vede, soprattutto da certe inquadrature fisse e in generale dal gore presente qui e lì.

L’aspetto più interessante di The Medium, e quello che all’inizio può anche destabilizzare, è la capacità di Marianne di passare dal mondo dei vivi a quello degli spiriti con sorprendente rapidità e agire in entrambi allo stesso momento. L’abilità del giocatore, da ciò che ho visto come spettatrice, sta nel tenere d’occhio ogni parte dello schermo contemporaneamente, perché qualsiasi cosa può sfuggire in due mondi diversi a cui dare attenzione.

E proprio come in Control mano a mano le capacità della protagonista aumentano così come il numero dei comandi da usare per potersi difendere, attaccare e scegliere la cosa più giusta da fare in ogni diversa situazione. E la trama è più originale del solito, se non altro per questa componente di mistero che parte tutta da una telefonata che Marianne riceve e che la fa partire senza indugio ad investigare su questo massacro avvenuto al Niwa Resort.

Io AMO questo tipo di giochi con tutta me stessa. Datemi il mistero, protagonisti coi super poteri, gore e horror e mi metto lì coi pop corn manco fosse una season finale della mia serie preferita. Le mie colazioni si fanno sempre più interessanti, e non è solo merito della Nutella.

 

Scrivere rappresenta tutto ciò che sono, il resto è aria. Conviviamo in tanti nella mia testa e stiamo tutti una favola. Amo ciò che si lascia interpretare: non ho bisogno di sapere tutto, ditemi qualcosa, il resto me lo invento io. Libri, film, serie tv, videogiochi, manga, comics, anime, cartoni, musica... da tutto ciò che è intrattenimento posso imparare tanto e posso soprattutto trarre ispirazione, quindi ringrazio che esista. Ciò non significa che io non possa criticare anche ciò che amo, lo amo ugualmente senza per quello esserne accecata. It's fine to be weird. Live free or die. Canzoni della mia vita: The Riddle (Five for Fighting), Una Chiave (Caparezza), Dream (Priscilla Ahn). Film della mia vita: Donnie Darko, Predestination, Big Fish, The Shape of Water, Men & Chicken... Non esistono sessi, non esiste una sola forma d'amore, non è tutto bianco, non deve sempre vincere la maggioranza se la maggioranza è ferma nel Medioevo.