Containment – Recensione – Neil Mcenery-West

Il primo film di Mcenery-West, da poco disponibile su Netflix, riprende un tema dalle immense potenzialità, vanificate da un’evidente superficialità di trama e personaggi

Incipit

In un edificio residenziale di una non specificata cittadina britannica, l’artista Mark (Lee Ross) si risveglia al mattino dinanzi ad uno scenario a dir poco inquietante: elettricità, acqua e persino rete telefonica sono fuori uso, mentre la porta di ingresso e le finestre del suo appartamento e le finestre sono sigillate ermeticamente.

Dall’altra parte del cortile, gli inquilini di un altro edificio picchiano insistentemente sui vetri, in preda al panico, mentre un esercito di individui con tute anticontaminazione mettono su ciò che sembrerebbe essere un ospedale da campo.

Superficialità di trama e scarsa profondità psicologica dei personaggi

È questo l’incipit di Containment, primo film diretto da Neil Mcenery-West, scritto dal regista stesso e da David Lemon.

Chiaramente appartenente al filone dei film apocalittici che raccontano di epidemie e virus letali, la pellicola delude le aspettative dei primi minuti peccando di una generale superficialità di trama e di personaggi, solo parzialmente compensata da un ritmo godibile e da qualche tecnicismo di regia.

L’accumulo di tensione e il conseguente ritmo incalzante che caratterizzano Containment sono il risultato della scarsissima comprensione e consapevolezza di ciò che concretamente sta accadendo, delle effettive cause di quell’isolamento e della reale portata dell’epidemia al di fuori del complesso residenziale. I personaggi, monotoni cliché propri del genere – sebbene interpretati ottimamente dal cast – non hanno che una percezione frammentata e distorta degli eventi, tra i quali non vi è alcuna concatenazione coerente.

Gli evidenti buchi di trama, uniti al piattume delle figure che a malapena si distinguono dallo sfondo di eventi appena tratteggiati, sono all’origine di una non pervenuta evoluzione del film, che ristagna tanto nella storia, quanto nella (assente) psiche dei personaggi

Un film che non aggiunge nulla al filone degli outbreak drama

I 77 minuti di Containment si lasciano guardare in scioltezza, senza però che la pellicola riesca a lasciare un segno tangibile, né tantomeno un messaggio estetico/morale che ne giustifichi la visione e che la porti a ritagliarsi uno spazio degno di nota all’interno del genere.

L’ambientazione attualissima può sicuramente invogliare la visione di questo film, a patto però che non si abbia, nei suoi confronti, alcuna pretesa di riflessione sulle dinamiche relazionali e psicologiche innescate da eventi traumatizzanti come l’isolamento improvviso dovuto allo scoppio di una temibile epidemia.

Classe 1996, nata a La Maddalena ma cresciuta a Bari, è laureata in Traduzione specialistica. È una grande appassionata di film, serie tv e libri, su cui ama discutere e confrontarsi. Si è da poco addentrata nel magico mondo dei giochi da tavolo e, in particolare, dei giochi di ruolo. Crede fermamente nell’idea che “la bellezza salverà il mondo”, motivo per cui attribuisce all’arte e all’intrattenimento un valore assoluto.