Quando un titolo riesce ad uscire nonostante uno sviluppo a dir poco travagliato, fa sempre piacere a prescindere dal risultato finale. Se poi si tratta di un buon gioco, tanto meglio. A 4 anni dal suo annuncio infatti, e dopo aver promesso e ripromesso un’esperienza visivamente incredibile con ogni nuovo trailer, Narita Boy è finalmente sugli scaffali virtuali di tutto il mondo (e di praticamente tutte le console), e dopo una lunga e approfondita prova, possiamo dirvi la nostra.
Narita Boy – Recensione – WHERE IS MY MIND?
NaritaBoy.exe è in esecuzione. L’emulazione ha inizio, lo spazio virtuale invade la nostra realtà, o forse è il contrario, è il nostro organismo a venire digitalizzato, incanalato attraverso il tubo catodico e processato con una retro-teconologia al limite dell’impossibile. Cosa è reale? Cosa non lo è? Una sola cosa è chiara: il protocollo Narita Boy è attivo. La Tecnospada va recuperata, la memoria del Creatore va ripristinata con un backup e la follia di una linea di codice maligna ed infettiva va fermata a tutti i costi.
Le premesse narrative del titolo sono indubbiamente interessanti. Le avvolgenti atmosfere a metà tra un mistery ed uno sci-fi sono accompagnate ed assecondate da un comparto audiovisivo totalizzante, senza dubbio (possiamo dirlo subito) il punto più alto dell’opera. Verremo catapultati all’interno del Digital Kingdom, un regno partorito dalla mente del Creatore, i cui abitanti, consciamente digitali in uno spazio virtuale, non sembrano conoscere nessun altro piano di esistenza, risultando inconsapevoli di un’esistenza materiale.
Ma la nostra quest inizia, precisamente, quando un evento particolare scuote l’intero Regno: Il Creatore, infatti, ha perso la sua memoria, ed il protocollo Narita Boy viene attivato per rimediare al disastro imminente. Il nostro alter ego digitale dovrà quindi viaggiare per il Regno recuperando i memory log del Creatore e sconfiggendo le proiezioni digitali corrotte di HIM, ritenuto responsabile di tutto ed in possesso di uno dei tre pezzi della Tricroma.
Se state pensando che la tela narrativa vi ricorda quella di uno Zelda qualsiasi, avete perfettamente ragione. Il Regno Digitale è infatti un vero teatro virtuale ed inconsapevole nel quale tutto viene scritto ed inscenato con una consapevole e ricercata banalità. L’intento degli sviluppatori è infatti palesemente meta-narrativo ed il vero procedere della trama si otterrà con ogni shard di memoria del Creatore recuperato.
Il gioco saprà infatti mischiare con maestria esplosivi momenti di tamarria targata anni ’80 ed altri molto più introspettivi e dolceamari, nei quali verranno snocciolati temi importanti dell’animo umano come l’alienazione e la solitudine.
Narita Boy – Recensione – MA GLI ANDROIDI SOGNANO COMBO E POWER-UP?
Una volta ottenuta la nostra Tecnospada, verremo gradualmente inondati di power-up tra i più vari e disparati, che andranno ad evolvere il combat system in modo interessante. Tra fendenti verso l’alto, attacchi a distanza, attacchi caricati e chi più ne ha più ne metta, l’azione è sempre varia e strategica nonostante l’elevata frenesia che contraddistingue le fasi di combattimento. Questo, mischiato alla grande varietà dei nemici, crea un’alchimia che rende queste fasi un altro dei punti forti del gioco.
A donare un respiro particolare al combat system ci pensa soprattuto la meccanica dell’Homerun. All’apparenza un semplice attacco caricato, si rivela presto essere un fendente devastante capace di danneggiare anche svariati nemici in fila. Questo, però, succederà solo rilasciando il pulsante di attacco col giusto tempismo, pena l’annullazione della combo. Inoltre, ovviamente, un eventuale attacco nemico la annullerà istantaneamente. La riuscita di questo attacco diventerà cruciale nelle fasi avanzate di gioco, dove il suo utilizzo non corretto ci metterà in seria difficoltà.
Le crepe cominciano a vedersi più che altro per come i combattimenti sono impostati. Più che amalgamarli in modo coerente con lo scenario, gli sviluppatori hanno deciso (forse per comodità, forse per pigrizia) di istanziare queste sezioni in piccole “arene” che di tanto in tanto saremo costretti ad affrontare, scontrandoci con ondate di nemici di vario tipo. Si tratta quindi di veri e propri segmenti di gioco più che di una parte integrante dei livelli, una particolarità che è solo la prima di tante scelte dubbie di level design.
Narita Boy – Recensione – IL MIO REGNO DIGITALE PER UN BUON LEVEL DESIGN
Inutile girarci troppo attorno: il level design di Narita Boy è abbastanza blando e ripetitivo. Viaggiare attraverso il Digital Kingdom sarà divertente per le prime ore di gioco, ma ben presto realizzeremo come le fasi di esplorazione sono sempre composte delle stesse fasi, prestando il fianco ad una certa pigrizia o mancanza di esperienza da parte del team.
Il nostro compito, a grandi linee, sarà sempre quello di trovare la prossima tecno-chiave, parlare con l’NPC di turno e risolvere sempre lo stesso tipo di enigma, il tutto inframezzato da qualche fase platform o dai “segmenti” di combattimento sovracitati. Potremo trovare variazioni sulla difficoltà in base a quanto saremo avanti con la storia, ma poco di più. Pochi guizzi di level design, poca varietà e poca spinta ad esplorare più del necessario e divergere dal cammino principale.
Infatti il nostro personaggio verrà potenziato col semplice scorrere della trama, non ci sarà nessuno skill tree da completare esplorando con minuziosità le aree di gioco, nessun collezionabile o boss extra. L’unica componente che potrà invogliarvi all’esplorazione sarà il memory shard del Creatore bonus, che vi fornirà ulteriori dettagli sulla trama.
Narita Boy – Recensione – IL VALORE ESTETICO IN UN MONDO PRAGMATICO
L’angelo custode della produzione rimane, come già citato, il valore estetico donato all’incredibile mondo al cui interno lo Studio Koba, al netto dei vari difetti, ha letteralmente soffiato la vita. Il che è ironico, visto che parliamo di entità algoritmiche.
Il dorato pulsare delle venature cibernetiche fende a più riprese la fotografia tendente al blu elettrico che gli sviluppatori hanno scelto di adoperare per una buona parte degli interni del mondo di gioco. Ad ogni angolo ritroveremo NPC animati in modo certosino intenti nelle loro quotidiane azioni da algoritmi in forma antropomorfa. Il sole digitale risplende forte nel Deserto Rosso e la luce è fioca ed atmosferica al punto giusto nella Foresta Dimenticata.
Nemmeno il più insignificante dettaglio è lasciato al caso, per una precisione di un tale livello dal risultare, a volte, paradossalmente confusionario in quanto non è sempre chiaro quale strada sia percorribile e quale meno, ma questa è una piccolezza, un leggero prezzo da pagare per un’estetica azzeccatissima.
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