Quando un’idea funziona e il pubblico dimostra di esserne entusiasta, risulta davvero difficile non sfruttarla nuovamente per creare ulteriore consenso e per aumentare i fasti attorno al proprio nome: Tarsier Studios non si limita, tuttavia, a riproporre le ambientazioni e l’immaginario di Little Nightmares, ma crea un secondo capitolo solido e pieno di nuovi punti di forza, capace di superare il predecessore. Rilasciato l’11 Febbraio 2021 e disponibile su tutte le piattaforme, Little Nightmares II si è fatto strada nella mia mente con il suo potenziale narrativo ed espressivo, inducendomi a parlarvene qui, oggi, in questa recensione.
Little Nightmares II – Recensione – L’innocenza dimenticata.
Ancora una volta, ci svegliamo.
Siamo un piccolo bambino abbandonato in un bosco, solo un sacchetto in testa a celarci al mondo, seduto di fianco ad un televisore di vecchia fattura. Non abbiamo molto tempo per porci domande e cercare le eventuali risposte, bisogna muoversi, avanzare, comprendere strada facendo chi siamo e perché siamo lì.
Il nostro nome è Mono e no, non siamo capitati nel più ospitale dei luoghi: la foresta dinnanzi a noi è disseminata di trappole e suoni che fanno presagire incontri nefasti e solo dopo un bel pezzo di strada, attenti a non cadere nei più svariati dei tranelli, incontreremo un volto amico, un compagno (o una compagna?) per un viaggio attraverso l’immaginario oscuro di Little Nightmares II.
Quello che salta subito all’occhio è che, anche stavolta, Tarsier Studios non ha voluto essere indulgente con i giocatori e risparmiar loro qualche incubo post-partita: la narrativa di questo secondo capitolo è, come avveniva con il predecessore, perfettamente comprensibile tramite un’attenzione perenne al mondo intorno a noi, ai comportamenti dei nostri aguzzini e a quelli dei due piccoli protagonisti.
Non servono particolari congetture o ricerche disperate su internet per comprendere lore e messaggi nascosti: Little Nightmares II parla chiaro a chi vuol sentire, tormenta i giocatori con una storia che si fa carico di quanto vissuto in precedenza e lo rimette in discussione, lo usa come trampolino di lancio verso un incubo ancor più oscuro.
Penso sia innegabile che la vena horror sia stata ampiamente incrementata, marcata per creare ambientazioni e avversari più tetri, sinistri, arroganti nel loro modo di sbarrarci la strada, subdoli nell’infondere paura alle dita che tengono saldamente stretto il pad.
Non è facile farsi strada in un mondo perennemente soggetto a crolli, cambiamenti, distorsioni; non è facile abbandonare l’innocenza che contraddistingue le figure infantili, spingerle a fronteggiare minacce ben più grosse e temibili di loro; non è facile ricondurre l’incubo ad una razionalità di fondo, associarlo a messaggi ben più grandi e certamente più reali delle distorsioni della mente che prendono vita in un prodotto simile.
Non è facile avere fiducia, nel mondo di Little Nightmares II, ma a volte è necessario averla… e fidatevi, se vi dico che una volta terminato, non sarà facile dimenticarlo.
Little Nightmares II – Recensione – La paura e la violenza.
La perdita della propria innocenza non avviene solo in termini astratti, durante il nostro viaggio nell’incubo, ma si traduce in vere e proprie azioni impensabili nella precedente interazione con l’universo proposto dagli sviluppatori.
Ricordate quando Six doveva fuggire da tutto ciò che le si proponeva di fronte, che fosse la più piccola delle sanguisughe o il più ostinato dei Cuochi? Bene, dimenticate, anche se solo parzialmente, di dover perennemente scappare; Little Nightmares aveva già provato a disilludere i suoi giocatori sulle battute finali, ma Little Nightmares II strappa via, in modo deciso, l’inerzia e la fragilità del bambino, mostrandogli un modo diverso di interagire con le minacce: affrontarle.
La prima novità che voglio sottolineare è, dunque, la possibilità di utilizzare vere e proprie armi all’interno degli stage: non pensiate di diventare spietati assassini, ma considerate piuttosto di sfruttare un’ascia per colpire sul cranio un bambino di porcellana, piuttosto che frantumare le dita di una mano insistente grazie all’ausilio di un grosso tubo di metallo. All’astuzia richiesta per districarsi attraverso ampi luoghi senza essere visti, sfruttando cavi elettrici scoperti o crolli del pavimento per rallentare gli inseguitori, il gioco unisce quindi anche una piccola, ma determinante, dose di violenza, utile laddove il nemico sia di dimensioni più ridotte o di ingegno meno marcato.
L’introduzione di un accompagnatore (una bambina dall’impermeabile decisamente già visto…) permette inoltre al gioco di acquisire varietà nella risoluzione degli enigmi ambientali, potendo ora sfruttare la presenza dei suggerimenti del compagno, il suo aiuto per arrampicarsi in luoghi rialzati o la sua forza per abbattere un ostacolo particolarmente resistente. Non dovremo neanche preoccuparci che venga visto dai nemici duranti gli spostamenti, celato com’è da una “bolla d’invisibilità” voluta affinché il gameplay non diventasse troppo “tecnico”… scelta opinabile, forse, ma decisamente effettuata ai fini della fruibilità e che non mi sento di condannare.
Bene anche la struttura degli ambienti, più profonda e complessa rispetto al primo capitolo, capace di presentare bivi, infami espedienti per condurci alla morte e una pluridimensionalità che spinge a dover pensare le proprie mosse molto più frequentemente di quanto avveniva in passato. Lanciarsi verso una sporgenza, fidandosi delle doti atletiche di Mono, non sarà sempre una buona idea, così come non lo è gettarsi in una corsa sfrenata senza tener conto della “larghezza dei corridoi”… non voglio mortificare le mie abilità in-game rivelandovi quante volte sono morta andando a sbattere contro scatole e muri, non fatemelo dire, ve ne prego.
La sensazione generale in merito alla struttura del gioco è che, così come avviene nel comparto narrativo, il team abbia voluto spingere sulla profondità e sulle possibilità dell’idea generale, dando vita ad un prodotto più stratificato, con maggior spunti e decisamente più complesso… anche se, a volte, la complessità si trasforma in rigidità.
Little Nightmares II – Recensione – Piccoli problemi di equilibrio.
Non giriamoci troppo attorno e affermiamo, senza paura, che Little Nightmares II è notevolmente più difficile del suo predecessore; non aspettatevi un titolo impossibile, sia chiaro, ma più che altro una bella sfida da fronteggiare a testa alta e a mente accesa.
Laddove, però, alcune introduzioni rendono il gioco più complesso in senso positivo, altre minano la fruibilità con una legnosità dei movimenti che mal si sposa con il combattimento proposto in alcune fasi dell’avventura: Mono è molto più piccolo delle armi che impugna e questo lo costringe a fare un grosso sforzo per sollevarle, aumentando i secondi che passano tra il comando impartito e il colpo sferrato. Un posizionamento errato sul terreno di gioco o un attacco inferto al momento sbagliato potrebbero condurci ad una morte spietata e ingiusta. Nei momenti più confusionari, inoltre, è davvero difficile schivare un attacco e subito dopo colpire, costringendoci a fare più fatica di quanto ci saremmo aspettati e meritati.
L’idea di introdurre i combattimenti è stata largamente approvata… la realizzazione, forse, poteva essere gestita meglio.
Per quanto riguarda la longevità, invece, il gioco rimane fedele alla formula proposta in precedenza e non supera le 5-6 ore durante una prima run fatta di esplorazione e mancata conoscenza degli enigmi. Una volta affrontato una prima volta, qualora si voglia ri-giocarlo per raccogliere tutti i cappellini indossabili da Mono e furbamente nascosti nella mappa, non penso che impiegherete più di 2-3 ore per giungere ai titoli di coda.
Sono esperienze brevi, certo, ma con un’intensità tale da far impallidire produzioni ampiamente più longeve.
Little Nightmares II – Recensione – Terrore su tela.
Sappiate che sono rimasta affascinata e contemporaneamente atterrita dall’immaginario proposto in Little Nightmares II.
Se nel primo capitolo avevamo fronteggiato scenari dondolanti ed essere grotteschi, pronti ad inghiottire Six all’interno della loro fisicità esagerata e molesta, tutto cambia nell’esatto momento in cui Mono si alza in piedi, in mezzo a quel tetro bosco in notturna: la produzione assume un tono decisamente più horror, si affida ad ambienti in costante disgregamento e a nemici, grandi o piccoli, subdolamente pronti a metterci con le spalle al muro, sfruttando ossessioni e paure… che siano le nostre, o le loro.
I bambini di porcellana, sparsi in gran numero e pronti a circondarci; la Maestra, con il suo collo lungo e capace di insidiarsi in ogni fessura; i manichini, immobili alla luce, temibili e scattanti nell’ombra… sono solo alcuni esempi degli orrori che gli sviluppatori ci hanno proposto, orrori che scavano nella nostra mente alla ricerca di paure infantili e adulte, concepiti con un art design dal quale c’è davvero da imparare.
E gli ambienti? Immersi in giochi di luce, costruiti in modo pluridimensionale per stimolare la mente e l’ingegno del giocatore, eretti per essere teatro di fughe, lotte, paure.
Il colpo d’occhio generale atterrisce ed incanta, mai spezzato da problemi tecnici o imprecisioni di sorta. La mia partita si è svolta su Xbox One S grazie ad una key fornita da Bandai Namco Entertainment e non vi è stato nemmeno un momento in cui la magia dell’incubo sia stata interrotta a causa di problematiche legate allo sviluppo o alla resa del gioco su console.
Benissimo anche la colonna sonora, con tracce che entrano in testa, ninna nanne spettrali e dal ritmo alienante; non parliamo poi della cura generale per il sound design, impreziosito da fruscii, voci, risate, sospiri e urla di puro terrore.
Voglio sbilanciarmi completamente in questa recensione, affermando che quello di Tarsier Studios è uno dei giochi che ci permettono di proclamare a gran voce che “i videogiochi sono arte”… senza che alcuna obiezione possa essere mossa.
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