Calibro 9 (2020) – Recensione – Toni D’Angelo

Presentato fuori concorso al Torino Film Festival 2020, Calibro 9 di Toni D’Angelo si appresta ad arrivare in streaming on demand a partire dal 4 febbraio, ecco la nostra recensione.

Calibro 9 – Recensione – L’introduzione alla Trilogia del milieu

Che a Toni D’Angelo piacesse la Trilogia del milieu era forse chiaro da un pezzo. Questo trittico di film, diretti da Fernando Di Leo, è sicuramente molto importante per la storia del cinema italiano, perchè forma un genere a sé stante, nato da una costola del poliziottesco anni ’70 fusa al genere noir e al thriller.

Milano Calibro 9, La Mala Ordina e Il Boss, sono sicuramente tre film da recuperare per chi ama il cinema, sono tre pellicole che hanno fatto storia, modificando un genere per crearne un altro tutto nuovo.

Se nel poliziottesco infatti il protagonista era sempre un poliziotto incompreso dai suoi superiori che cercava di farsi giustizia in modo più o meno ortodosso tra banditi di ogni sorta, nella Trilogia del milieu le gerarchie si invertono ed il protagonista diventa il criminale.

Come si può correlare D’Angelo alla trilogia? Beh è presto detto…

Dopo l’esperienza sul genere noir avuta con L’Innocenza di Clara del 2011, D’Angelo era infatti passato al poliziesco, con Falchi del 2016, che in alcune scene omaggiava per l’appunto la Trilogia del milieu con schemi narrativi affini o vere e proprie citazioni… In una scena ad esempio troviamo dei camorristi intenti a guardare in TV proprio quel Milano Calibro 9 che non solo è il primo dei tre film della trilogia, ma che si ritrova ad essere anche vero e proprio prequel involontario di questo Calibro 9 che andremo a recensire.

Insomma, D’Angelo non si limita più ad omaggiare un genere, o a mostrare parti e schemi di un pezzo di storia del cinema italiano, ma ci si lega totalmente ed indissolubilmente, creando un sequel che vorrebbe incastonarsi nei tre lavori di Di Leo come quarto elemento.

Il film, diretto dal cineasta partenopeo, è prodotto e scritto da Santo Versace e Gianluca Curti, figlio di Ermanno Curti (produttore di Milano Calibro 9) e sceneggiato insieme a Luca Poldelmengo e Marco Martani.

Calibro 9 – Recensione – Pregi e difetti di una scelta coraggiosa, trama e personaggi

Questa scelta di D’Angelo è dunque una scelta ardita e coraggiosa, con i suoi pro e i suoi contro… da un lato il volersi riallacciare ad un film cult di indiscusso valore storico, come quello di Di Leo, aumenta a dismisura le aspettative di qualsiasi cinefilo e dall’altro fa partire il regista già con un impianto di base solidissimo da cui poter attingere per “continuare” una storia, piuttosto che crearne una totalmente da zero.

Ed è quindi il momento di passare alla trama, proprio per capire che viaggio hanno compiuto i vecchi protagonisti e quali sono invece i nuovi personaggi sopraggiunti in questo simbolico sequel.

In Milano Calibro 9 il protagonista era il criminale Ugo Piazza, interpretato magnificamente da Gastone Moschin, che si rendeva protagonista di un colpo da maestro, rubando 300.000 dollari ad un boss malavitoso, per poi finire male dopo una serie di vicissitudini.

In Calibro 9 abbiamo invece protagonista il figlio di Ugo, Fernando Piazza (interpretato da Marco Bocci – il commissario Scialoja della serie TV Romanzo Criminale), avvocato milanese che tenta la scalata al successo in maniera analoga al padre, e non vogliamo però rivelarvi altro in merito al suo finale.

Così come Milano Calibro 9 iniziava mostrando il passaggio di mano in mano tra i vari corrieri del plico contenente il denaro (che di lì a poco sarebbe sparito), allo stesso modo in Calibro 9 l’inizio è dedicato a mostrare una versione modernizzata della stessa situazione.

I soldi di una grossa società (100 milioni di euro) questa volta viaggiano tramite computer, vengono fatti girare di conto in conto, da paese a paese, per poi essere dirottati e fatti sparire da Fernando, con l’ausilio della sua collaboratrice/complice, esperta di informatica.

Se nel film di Di Leo, il “cattivo” era rappresentato dal boss noto come L’Americano, in Calibro 9 Fernando andrà a scomodare la ‘ndrangheta, in quanto i 100 milioni fatti sparire si riveleranno essere di un’organizzazione legata ad un clan malavitoso calabrese, quello degli Scarfò.

Entreranno in scena anche Maia (Ksenia Rappoport), un tempo compagna di Fernando, ora avvocato che cura sotto banco gli interessi dell’altro clan protagonista del film, quello dei Corapi, acerrimo rivale degli Scarfò ed un commissario di Polizia (Alessio Boni) che è forse l’anello di congiunzione tra questo film e il genere poliziottesco, in quanto interpreta un poliziotto ribelle, che non vuole sottostare a regole scomode imposte dall’alto per favorire gli stessi clan malavitosi e che sembra avere un conto in sospeso con tutta la vicenda.

Seguono due personaggi che si ricollegano a doppia mandata a Milano Calibro 9, e sono Nelly Bordon, la moglie del defunto Ugo Piazza e madre di Fernando, che anche in questo sequel è interpretata da Barbara Bouchet (il cui doppiaggio non convince per niente) ed infine Rocco Musco, fedelissimo di Ugo, ex co-protagonista di Milano Calibro 9, che stavolta ha il volto di Michele Placido invece di quello di Mario Adorf e che cercherà di aiutare in tutti i modi Fernando grazie al suo rapporto speciale con il clan Corapi.

La storia non si ambienterà solo a Milano come nel primo film, ma risulterà essere molto internazionale, spostandosi da Milano alla Calabria, passando per Francoforte e Montecarlo.

Calibro 9 – Recensione – Un’occasione in parte sprecata

Insomma, quanto analizzato fino ad ora poteva gettare le basi per un prodotto che avrebbe potuto essere non solo un ottimo fil rouge tra passato e presente, ma anche un punto di inizio per il recupero di un genere che non è più stato trattato in maniera appagante dagli anni ’70 ad oggi, eppure qualcosa non ci ha convinto del tutto, soprattutto in termini di sceneggiatura.

La spietatezza e la crudeltà contenutistica di Milano Calibro 9, delineata con estrema semplicità da Di Leo, trova forse troppa ricerca dello spettacolo fine a se stesso nel riadattamento effettuato su Calibro 9… passi il voler rendere il prodotto più in linea con le produzioni cinematografiche e anche televisive attuali (leggasi Gomorra, Suburra ecc.ecc.), ma in alcuni frangenti si va forse troppo oltre, perdendo incisività e credibilità.

La scena di un inseguimento in auto in Calabria, gonfiata e dilatata fin troppo, finisce per diventare improbabile ed a tratti velatamente comica.

Una scena di una sparatoria al porto, dove i nostri protagonisti si ritroveranno braccati come topi in gabbia, vedrà il tutto risolversi in maniera quasi parodistica, con un numero di colpi esplosi immane, interamente dedicata alle povere finestre di un capannone che non aveva fatto del male a nessuno.

La scena in questione finisce per far perdere impatto anche alla susseguente scena romantica che si svolge all’interno del capannone, con un utilizzo della CGI discutibile ed una scelta di fondere la scena principale in tempo reale con l’ambientazione attorno ai protagonisti che invece va al rallenty, finendo per confondere le idee e togliendo molto pathos ad un momento clou che invece poteva essere valorizzato diversamente.

E’ un peccato perchè Bocci si cala perfettamente nella parte, la Rappoport è convincente e si offre una ragione al suo essere una calabrese russa, Placido è “breve ma intenso” e forse il solo Alessio Boni sembra un filo troppo avulso allo scorrere degli eventi, seppur con una buona prova attoriale… Mettiamoci anche una azzeccata colonna sonora, dedicata al film originale, con la ripresa delle musiche di Luis Bacalov e con la partecipazione in prima persona dello stesso regista, che dimostra cosa significhi essere il figlio di un musicista, ed un ritmo sempre sostenuto ed incalzante, senza troppi cali di tensione. Tutto questo lascia un po’ l’amaro in bocca.

Resta il coraggio, resta l’idea di fondo, resta la speranza che D’Angelo ci provi ancora, magari focalizzandosi più sulla sostanza che sull’apparenza, perchè a conti fatti non serviva poi molto al film per essere più convincente.

Valerio "Raziel" Vega: Napoletano a Roma, Tecnico Ortopedico di giorno, Retrogamer compulsivo di notte. Creatore del progetto Nerdream, amante del cinema, delle serieTV, dei fumetti e di tutto ciò che è fottutissimamente NERD, sogna una vecchiaia con una dentiera solida ed il pad di un NES tra le mani. Il suo motto è “Ama il prossimo tuo come hai amato il tuo Commodore64”
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