The Lighthouse – Recensione – Robert Eggers

Dopo l’incredibile esordio avvenuto con The VVitch, Robert Eggers ci regala una pellicola di straordinaria complessità, impreziosita da notevoli richiami artistici ed imperniata su prove attoriali a dir poco impressionanti.

 

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La capacità di senso dell’arte cinematografica

Nella sua impressionante complessità e stratificazione di significati, The Lighthouse esemplifica la straordinaria capacità di senso dell’arte cinematografica, in grado di esercitare un potere magnetico sullo spettatore e di lasciare, al contempo, libero spazio all’esercizio delle sue capacità immaginative ed interpretative – ingredienti irrinunciabili per la costruzione degli “infiniti mondi possibili” racchiusi nella pellicola di Eggers

La follia identitaria

Ambientato sul finire del diciannovesimo secolo – la cui percezione di tempo lontano è esaltata dall’utilizzo dell’inglese tardo-ottocentesco e dal preponderante gergo marinaresco – The Lighthouse si costruisce sulla simmetria, più che sulla semplice contrapposizione, di luce e oscurità, trascinando lo spettatore negli abissi orrorifici della follia, del senso di colpa, della frustrazione sessuale e dello smarrimento identitario.

I riferimenti artistici e le prove attoriali 

Attingendo al patrimonio della mitologia greca e alle opere pittoriche di artisti come Edward Hopper, Vincent Van Gogh e Sascha Sneider, l’eterna lotta tra uomo e natura, l’ossessiva ricerca della conoscenza e l’instancabile tentativo di superare i confini entro i quali si colloca la condizione umana trovano piena espressione tanto nella resa visiva quanto nella caratterizzazione dei personaggi, interpretati in modo magistrale da Willem Dafoe, la cui straordinaria capacità di rappresentazione dell’uomo nelle sue infinite sfaccettature trova qui l’ennesima conferma, e Robert Pattinson, che con questa pellicola sembra toccare uno dei punti più alti del proprio percorso di crescita. 

 

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Il simbolo del faro

Con The Lighthouse, Robert Eggers offre un’inquietante quanto credibile raffigurazione della condizione umana nel suo carattere multiforme, ambiguo ed ineffabile, servendosi della scelta monocromatica per rappresentare quello di cui la luce del faro si erge a chiara esemplificazione, ovvero tutto ciò che si colloca al di là della percezione sensoriale e che, ciononostante, è in grado di esercitare su di noi una forza ineluttabile.

Classe 1996, nata a La Maddalena ma cresciuta a Bari, è laureata in Traduzione specialistica. È una grande appassionata di film, serie tv e libri, su cui ama discutere e confrontarsi. Si è da poco addentrata nel magico mondo dei giochi da tavolo e, in particolare, dei giochi di ruolo. Crede fermamente nell’idea che “la bellezza salverà il mondo”, motivo per cui attribuisce all’arte e all’intrattenimento un valore assoluto.