Ora sedetevi, rilassatevi, chiudete gli occhi: immaginate un cerchio, un infinito susseguirsi di punti che distano ugual misura da un centro, punto troppo spesso dimenticato, ma fondamentale. Questa è una storia che si racconta in silenzio, questo è un viaggio, questo è “The Road to Demon’s Souls” ed è il vostro cerchio….
Preparativi.
Prima di cominciare, è meglio dire quello che scontato non sempre è: sarà un viaggio lungo, diviso in più speciali, dove percorreremo insieme questo cerchio, fino ad arrivare all’essenza: fino ad arrivare al cuore, a quel Demon’s Souls che molti hanno amato, amano ancora e ameranno per sempre.
Ma questo speciale è soprattutto per chi ancora non conosce questo titolo ma ne conosce i figli spirituali: i Dark Souls, il gotico Bloodborne, l’orientale Sekiro Shadow Die Twice… è un compito difficile, quindi bisogna avere rispetto e tatto per qualcosa di unico, destinato tra meno di un mese ad entrare nella leggenda; i demoni stanno tornando e lo faranno su PS5 in una veste che sa di nostalgico, ma che trasuda rivoluzione… inizia il viaggio, ed inizia con un televisore e una console a 8-bit.
Il vecchio crea il nuovo.
Un elemento in comune dei videogiochi negli anni ‘80 e ‘90 era la presenza di una buona difficoltà nel portarli a termine, sia per la loro struttura che per delle meccaniche di gioco meno raffinate rispetto ad oggi. I platform a scorrimento erano all’ordine del giorno fino a metà anni ‘90, con protagonisti abbastanza fragili di fronte ai numerosi nemici e che richiedevano una buona manualità per essere guidati fino a fine livello: dal celebre Super Mario fino alla nascita del suo rivale Crash Bandicoot o anche quello con protagonista Ryu Hayabusa nel primo Ninja Gaiden; ma anche nei videogiochi tratti da film di successo, come ad esempio il primo Star Wars, o il Batman basato sul film di Tim Burton del 1989. Altri generi videoludici, con un gameplay meno lineare potevano risultare ancor più complessi: come dimenticare il farming assurdo richiesto nel primo Final Fantasy, almeno fino al secondo cristallo, o la difficoltà ad orientarsi nel mondo dei primi capitoli di Zelda, o ancora la capacità di riflessione unita a un minimo di manualità richiesta nei Tomb Raider sviluppati da Core.
Sul finire degli anni ‘90 ha iniziato a crearsi quello che, in fondo, è stato lo standard degli anni 2000: maggiore accessibilità nel gameplay e miglioramento della narrativa. Perché limitarsi ai livelli a scorrimento quando con il 3D è possibile controllare il protagonista in nuovi modi? E perché limitarsi al 3D a scorrimento quando si può completamente aprire il mondo di gioco? Ecco allora che in Prince of Persia si può andare oltre l’avere un mondo a scorrimento 2D, con il principe limitato sia nella mobilità che nel combattimento e solo un’ora di tempo per completare il gioco: adesso il principe può sfoderare una serie di acrobazie sia per spostarsi, sia per combattere contro i nemici, i quali possono anche tranquillamente essere più di uno alla volta. Questo riduce sensibilmente il livello di sfida, ma permette anche di sfruttare al meglio le possibilità di creare una narrazione decisamente migliore rispetto al passato: finché si tratta solo di superare degli ostacoli per salvare la principessa è un conto, ma se si vuole raccontare qualcosa in più del protagonista, dell’antagonista, dei personaggi secondari, dell’ambientazione, se si vuole dare vita a un mondo vero, con un qualcosa da raccontare, qualcosa di rivoluzionario nel tempo… beh, la musica cambia. Non era facile all’epoca, e nemmeno ora ma si sa, “il troppo stroppia”, la mancanza di sfida cominciava a farsi sentire, soprattutto se la narrativa non sempre era soddisfacente… e arriviamo quindi al 1994, quando qualcosa cambia.
Le idee che cambiano il mondo.
Nel 1994, in Giappone, una ancora giovane From Software pubblica per PSX King’s Field, considerato essere uno dei primi videogiochi completamente 3D della storia. Nonostante il design rigido e la progressione così severa da abbandonare il giocatore a se stesso, il gioco ottiene un buonissimo riscontro: ne vengono sviluppati tre seguiti, che si guadagnano anche la pubblicazione negli USA. L’ultimo nato, King’s Field IV, finalmente arriva in Europa nel 2003 (due anni dopo l’uscita originale) sotto la distribuzione dell’ormai defunta Metro3D. Per quanto quest’ultimo titolo sia noto ai più per la sua localizzazione di bassissima qualità (tanto da essere divenuta un fenomeno di internet), il gioco contiene le idee che poi saranno canalizzate in Demon’s Souls: contesto medievale e un po’ gotico, atmosfera opprimente, mondo interconnesso da esplorare in stile dungeon-crawling, struttura punitiva… c’è tutto, ma manca ancora qualcosa, qualcosa che accenda la miccia!
Negli anni successivi la From continua a mantenersi con un’altra serie di successo Armored Core; King’s Field rimane nelle loro menti, per poi riemergere con prepotenza nel 2007: PlayStation 3 e Xbox 360 sono alle porte, e From ha bisogno di approdare su console di nuova generazione e qui torna con prepotenza l’ idea di un quinto capitolo del brand; tuttavia ci si rende presto conto che i costi di sviluppo su queste nuove macchine sono difficili da sostenere per la loro realtà molto piccola. Se Armored Core debutta senza particolari problemi, per questo “nuovo gioco” non c’è altra soluzione che l’esclusiva: l’accordo stretto con Sony prevedeva supporto nello sviluppo e ne assicurava la pubblicazione su PS3, in cambio dei diritti futuri sulla proprietà intellettuale. King’s Field viene pertanto accantonato, ma lo stesso non accade alle sue idee.
Vedere ciò che gli altri non vedono.
La morte è il principio.
Raccontare senza raccontare.
Rimanendo in controtendenza con le basi creative tipiche degli anni 2000, Miyazaki sostiene che i videogiochi non debbano diventare film: con questo pensiero, unito alla difficoltà dei suoi titoli, come possono i “Souls” avere una narrazione soddisfacente? Narrando tramite la “lore”, termine preso in prestito dall’inglese per indicare una storia dietro il mondo di gioco. Nei “Souls”, il protagonista è solo in un mondo morente, ostile, con pochi NPC che sanno poco o dicono poco; ascoltando i loro dialoghi, leggendo le descrizioni degli oggetti o addirittura osservandone l’estetica e osservando l’ambiente in cui si svolge l’avventura, si scopre una storia immensa dietro quel poco che viene narrato in maniera tradizionale. Dark Souls, sequel spirituale di Demon’s Souls, è l’esempio perfetto di narrazione tramite lore.
Demon’s Souls è diviso in cinque mondi che dovrebbero tutti far parte del regno di Boletaria, ma troppo diversi tra loro per trasmettere quest’idea: in Dark Souls invece, la terra di Lordran presenta ambienti diversi perfettamente amalgamati in un’unica mappa interconnessa. La novità introdotta da questa struttura sta sicuramente nel poter scegliere quale strada percorrere per prima per raggiungere i vari obiettivi, ma l’altra differenza rispetto a Demon’s Souls, sta nella narrativa: in Dark Souls non c’è niente di troppo vago nella lore, ed esaminando tutti gli elementi citati prima si arriverà a conoscere perfettamente le vicende nascoste dietro il mondo di gioco. Lo stile narrativo scelto da Miyazaki può non piacere rispetto a quello classico, ma non c’è dubbio sul fatto che doni un motivo in più per giocare: tantissimi giocatori si sono appassionati nello studio della lore dei “Souls”, la quale può essere perfettamente collegata, come in Dark Souls, ma anche lasciata volutamente più aperta come in Bloodborne o Dark Souls III. In ogni caso, questo stile narrativo porta i giocatori ad osservare ogni singolo elemento dell’opera, dando così il giusto merito anche a chi ha lavorato alla componente artistica.
La nascita di un genere.
Dopo essersi imposti sul mercato come qualcosa di diverso rispetto agli standard videoludici dello scorso decennio, i “Souls” hanno decisamente influenzato le produzioni negli anni seguenti. Innanzitutto, hanno dato il via a quello che può essere considerato come un vero e proprio genere videoludico, denominato appunto “Souls-like” per via di una struttura contenente numerosi elementi presi dai “Souls” stessi. Ci sono Souls-like riusciti come Nioh, meno riusciti come Lords of the Fallen; anche Bloodborne potrebbe rientrare nella categoria dei Souls-like, non avendo la parola “Souls” nel proprio nome ma l’influenza dei “Souls” nell’ispirazione. Ormai, per moltissime produzioni si leggono commenti in cui viene subito detto che il gioco “ha qualcosa che ricorda Dark Souls“.
Cory Barlog, ad esempio, parlando della programmazione per il nuovo God of War, disse che non volevano fare né un open world, né un Dark Souls, anche se quel gioco gli piace molto; questo fa pensare che i Santa Monica Studios abbiano tratto ispirazione da questo genere per creare la nuova avventura di Kratos. Ma non servono per forza dichiarazioni per vedere l’influenza dei “Souls” nelle produzioni odierne, basti vedere, ad esempio, come Ubisoft abbia cambiato Assassin’s Creed basando il combattimento corpo a corpo più sull’uno contro uno e rendendo meno logico lanciarsi in mischia contro una miriade di nemici. Altra novità negli ultimi Assassin’s Creed è la possibilità di scegliere il livello di difficoltà; una scelta presa in considerazione da diverse software house nell’ultimo decennio. Non solo il gameplay, anche la narrativa dei “Souls” ha influenzato i titoli di oggi: sebbene la narrazione tramite lore non sia proprio così diffusa, lo spingere i giocatori ad osservare ogni singolo elemento del gioco ha sicuramente portato le altre software house a dare maggiore attenzione al level design. Sono proprio i giocatori ad aver cambiato mentalità e aspettarsi ora determinate caratteristiche dalle produzioni: un certo livello di sfida, niente più “recolored” nei nemici, niente più oggetti o persone che non avrebbero dovuto trovarsi dietro una porta chiusa da secoli, e così via.
L’inizio di un’era.
Demon’s Souls arriva così nel nostro continente il 25 giugno 2010, un anno e mezzo dopo la pubblicazione originale giapponese. L’accoglienza stavolta è addirittura migliore, anche da parte della critica: il gioco sfonda il tetto del mezzo milione di copie nel Settembre dello stesso anno. Il risultato è più che sufficiente per convincere Bandai Namco a proseguire su questa strada. Un sequel diretto è però fuori discussione: la proprietà intellettuale è di Sony. Tuttavia, From Software non abbandona il proprio stile creativo: recuperato il concetto di “mondo interconnesso”, si accorda per realizzare un “successore spirituale” delle avventure a Boletaria.
Sta nascendo il primo Dark Souls, l’IP che li porterà a diventare una delle realtà di sviluppo più influenti del mondo…
Ma questa è un’altra storia, un altro cerchio… un altro viaggio.
Al prossimo appuntamento.
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