Borderlands 3 – Recensione – PC, PS4, Xbox One

Borderlands 3 – recensione di Pietro OnlyApples La Selva

Milioni di videogiocatori l’hanno atteso per anni, desiderando di poter tornare a soddisfare la propria fame videoludica con il suo ciclo infinito di violenza gratuita, colori vivaci, esplosioni, sarcasmo esistenziale, loot ipnotico, repeat. Borderlands è finalmente tornato con questo terzo capitolo dopo relativamente poco tempo rispetto al suo annuncio ufficiale, accompagnato da trailer sintomatici di una direzione chiara sin da subito: niente stravolgimenti, niente rivoluzioni, semplicemente il ritorno del Re dei looter shooter, padre di molti di quelli che oggigiorno chiamiamo Game As A Service. Una sola parola d’ordine: PIU’ BELLO. PIU’ GRANDE. DIPPIU’. Ok erano tre parole, potrei aver barato.

 

Borderlands 3 – Recensione – Vecchi amici con cui ammazzare nuovi nemici

Borderlands 3 non è di certo un titolo dalle meccaniche particolarmente complesse, ma la sua fase iniziale, un misto ben riuscito tra istantanea nostalgia ed introduzione alle piccole novità, aiuta sia i veterani della serie che le nuove leve ad entrare nel mood del gioco grazie ad un tutorial lineare ed intuitivo.

Su Pandora, anni dopo gli avvenimenti del secondo capitolo, tutto sembra essere immutato, quasi inconsapevole dell’apertura della Cripta da parte di Roland, Lilith e compagni. Le vallate desertiche e desolate fanno da sfondo alla sigla tamarra e rockeggiante che è ormai un vero e proprio marchio di fabbrica della serie, sigla in cui ci verranno presentati anche i nuovi Cacciatori della Cripta, ovvero Moze, Fl4k, Zane e Amara.

Una volta fatta la nostra scelta, un per nulla attempato Marcus, un trafficante intergalattico di armi, si offre poi volontario per accompagnare i Cacciatori alla stazione di servizio più vicina dove, seguendo le indicazioni di una Lilith che ci contatterà telepaticamente grazie ai suoi poteri da Sirena, dovremo incontrare uno dei “più fidati agenti” dei Crimson Rider.

Si tratta di CL4P-TP, meglio noto ai più come Claptrap, leggendaria mascotte della serie e comic relief tra i più riusciti della storia videoludica. In Borderlands 3 riprende a piene mani il suo ruolo e, tra una scenetta comica e l’altra, ci introdurrà all’esistenza di quella che è la nuova fazione nemica, un agglomerato di tutte le ex gang nemiche tra loro di Pandora, riunitosi sotto l’unico nome di Figli della Cripta grazie all’apparentemente smisurato carisma dei due gemelli Troy e Tyreen Calypso.

Togliamoci subito il cerotto: i nuovi villain, pur non non essendo terribilmente caratterizzati di per sé, in due non valgono la metà di Jack il Bello, un personaggio talmente ben scritto da funzionare sia come antagonista che da co-protagonista nei due precedenti capitoli della serie. Un plauso va però mosso a Gearbox, semplicemente per non aver provato a creare una copia carbone di Jack.

I due gemelli Calypso sono infatti un qualcosa di infinitamente diverso, tra l’altro divinamente inseriti all’interno della trama. Essi sembrano quasi sottovalutare il Cacciatore della Cripta, risultando fastidiosi e leziosi nel loro contattarci ed intimarci alla ritirata. Forse tra i due spicca un po’ di più Troy, con il suo fascino più tenebroso ed il suo incondizionato ma sofferto affetto per Tyreen, la bella gemella fissata col potere e con il seguito sui social network.

Ci fermiamo qui per evitare spoiler, limitandoci ad aggiungere che la trama generale della campagna principale ha degli ottimi twist narrativi e che taglio e regia delle cutscene sono notevolmente migliorati. Inoltre, la lore del gioco viene approfondita immensamente grazie a vari log sparsi in giro per il mondo di gioco, appartenenti sia agli Eridiani che a Typhon DeLeon, il primissimo Cacciatore della Critpa.

Borderlands 3 – Recensione – Verso Pandora… Ed oltre!

Narrativamente il titolo prosegue quindi in modo diretto le vicende del precedente capitolo ed espande immensamente l’universo di gioco, e la cosa si riflette ovviamente anche sul giocato.

Ci ritroveremo infatti in un rocambolesco inseguimento dei gemelli Calypso che ci porterà a lasciare Pandora per visitare diversi pianeti sparsi nel sistema solare e ad affrontare situazioni fuori di testa che solo Borderlands sa offrire, situazioni che quasi sempre comprendono la vendetta, supercorporazioni militari e migliaia di proiettili sparati.

Se nel precedente capitolo l’HUB centrale di gioco era la cittadina di Sanctuary, tale ruolo verrà stavolta ricoperto da una nave spaziale omonima, capace di compiere viaggi interstellari verso pianeti lontani. Con l’avanzare della trama, o intraprendendo missioni secondarie, inoltre, la nostra nuova casa fluttuante si riempirà di vita con nuovi membri dell’equipaggio, dalla semplice manovalanza a personaggi di spicco (compreso qualche gradito ritorno), fino a, perché no, eclettici esemplari di bestie aliene.

Nelle fasi primordiali del gioco, mentre siamo ancora arenati su Pandora, le mappe di gioco consisteranno nelle classiche vallate con avamposti e punti di interesse sparsi, ma già dal primo approdo su nuovi pianeti alieni ci renderemo conto di come il team di Gearbox ha portato avanti le idee di level design già ottime presenti nelle fasi finali del precedente capitolo, con delle mappe complesse e varie, che spaziano da quelle metropolitane ed abbandonate di Promethea, in cui uno stradone principale accessibile da vari punti giganteggia sopra strade e vicoli una volta pieni di vita, alle giungle di Eden-6, la cui fauna aliena, tutta piacevolmente da scoprire, ci attenderà ora nel fitto di una foresta, ora in una nave abbandonata ed intrappolata in un groviglio di liane.

In questo modo è cristallino che il team artistico di Gearbox si sia potuto sbizzarrire molto per quanto riguarda la varietà di scenari e nemici, andando ben oltre le innumerevoli orde di nemici umanoidi e mech dei precedenti capitoli. Questa evoluzione artistica, ma anche di gameplay, non è però accompagnata da una direttamente proporzionale modifica del sistema open world del gioco.

La struttura “vivisezionata”  e piena di muri invisibili del mondo di gioco, con caricamenti di mezzo tra una zona e l’altra, è infatti la parte invecchiata peggio di tutto la struttura open world del gioco. Se non si presta molta attenzione alla minimappa, inoltre, talvolta risulterà a volte quasi indistinguibile capire quali zone siano percorribili e quali no, finendo col cadere inesorabilmente in un “burrone” che però, semplicemente, non sembrava essere tale. 

Un vero spreco, tra l’altro, poiché come già accennato, la qualità del level design delle mappe è incrementato notevolmente, dando vita ad un’esperienza di gioco leggermente più esplorativa. Non fraintendete: il 90% del vostro tempo lo passerete a malmenare, investire, smitragliare, dare fuoco, far esplodere o ridurre in poltiglia il prossimo, come da tradizione. Semplicemente, in aggiunta troveremo alcune attività extra che prescindono dalle missioni sia primarie e secondarie, come i contratti di Zer0, le battute di caccia di Sir Hammerlock o gli audiolog che ci sveleranno sempre più dettagli sulla storia dei vari personaggi o del mondo di gioco.

Anche la struttura delle missioni rimane pressoché invariata, così come la loro qualità per quanto riguarda la scrittura. La classica suddivisione in quest primarie e secondarie si sposa bene col gameplay frenetico e privo di fronzoli o tempi morti.

Non mancheranno alcuni puzzle ambientali, per spezzare il ritmo e per ottenere armi e gadget molto potenti in anticipo sulla tabella di marcia, ma si tratterà spesso enigmi estremamente semplici in cui ripercorrere un cavo fino al generatore per dare corrente o sparare a delle tavole barricate di legno per aprirci la strada. Queste semplici missioni secondarie sono però, paradossalmente, anche l’espressione massima dell’ottima scrittura del gioco e vi sconsigliamo di saltarle. In esse ci verranno assegnati compiti totalmente fuori di testa, come  ad esempio convincere l’IA di un bagno chimico a liberare un povero utente rimasto intrappolato al suo interno o partecipare al beta testing di un gioco palesemente programmato per farti vincere solo in caso di utilizzo di microtransazioni.

La scrittura di tali quest è irriverente, critica, diretta e fatalista, arrivando a toccare temi anche molto delicati e maturi quali la disabilità e la morte, non risparmiando letteralmente nessuno, senza mai risultare inutilmente volgare. Beh… quasi mai.

Borderlands 3 – Recensione – 1000 modi per morire

Quando parliamo di Gearbox come di una software house a cui piace più la sostanza che la forma, probabilmente l’impegno riposto nella varietà delle bocche da fuoco all’interno del gioco ne è la prova lampante. Del resto, come ci si può annoiare a sparare alle cose quando lo si fa sempre in modo diverso?

Se già in passato la varietà bellica era notevole e generosa, nel minestrone questa volta troviamo un nuovo moltiplicatore che ha probabilmente raddoppiato tale varietà: stiamo parlando delle armi con doppia modalità di fuoco. E non si tratta di un semplice switch tra fuoco automatico e semi-automatico. Beh, non solo. Nelle fasi iniziali forse si, ma più avanzeremo e maggiori saranno le probabilità di trovare armi folli, bipolari, ma talvolta anche sensate nel loro dualismo. E così via alla scoperta di revolver con due ottiche, una normale ed una da cecchino, o di potentissimi shotgun capaci di sparare sia pallettoni incendiari che elettrici, o perché no, di un mitra con cui è possibile lanciare dischi appiccicosi sui nemici che fungeranno da magnete per i proiettili standard, che andranno tutti a segno sul malcapitato. E questo, ovviamente, è solo un assaggio di ciò che troverete.

La quantità di armi è incredibile, soverchiante, a volte – inutile negarlo – quasi fastidiosa, ma in senso buono.

Abbandonare un’arma per un’altra potrebbe richiedervi uno sforzo cerebrale non indifferente, dato che la potenza di un’arma non si baserà soltanto sulle sue statistiche. Passeremo una quantità di tempo da non sottovalutare provando ogni macchina di morte che ci si presenterà davanti, e sebbene ciò sia tutt’altro che un difetto, è una caratteristica peculiare del gioco da dover tenere presente. L’infinità di armi presente è anche uno dei fattori principali per i quali il titolo ha un valore di rigiocabilità incredibilmente alto.

Un altro di questi fattori è la componente RPG del titolo, in parte rivista ed arricchita dal team di sviluppo.

Se in passato, infatti, i punti abilità spendibili in uno dei tre rami di ogni personaggio sbloccavano principalmente abilità e potenziamenti passivi, in questo nuovo capitolo ogni ramo sarà collegato ad un’abilità attiva da attivare col tasto L1. Ad esempio, Zane evocherà un drone armato o una copia olografica di sè stesso così da distrarre o annientare i propri nemici, così come Amara potrà attivare i suoi devastanti poteri da Sirena.

Ma non è finita qui, potremo inoltre decidere di sacrificare le granate (lanciabili col tasto R1) per poter utilizzare contemporaneamente due delle tre totali abilità di ogni personaggio. Inoltre, saremo invogliati ad utilizzare questa strategia grazie a delle skill ottimizzate intorno a questo tipo di gameplay, con abilità che si potenziano in base al numero delle abilità attive utilizzate contemporaneamente.

Lo shooting è rimasto pressoché invariato, e come dice un vecchio detto, “squadra che vince non si cambia”. Il feeling delle armi è davvero incredibile, capace di restituire un feedback realistico anche in caso di armi completamente fuori di testa. Un punto completamente centrato da Gearbox ed essenziale se si vuole concorrere al titolo di migliore sparatutto dell’anno, considerata la notevole concorrenza del 2019, tra Metro Exodus, Doom Eternal ed altri nomi illustri.

Pressoché invariata rimane, purtroppo, anche l’I.A. dei nemici. Questo è un discorso molto ampio e complesso che andrebbe affrontato ed approfondito in modo appropriato, data la generale assenza di progressi su questo versante dell’intera generazione, e su questo siamo tutti d’accordo. Se, però, si è freschi freschi di Borderlands 2 quando si approccia questo terzo capitolo (ebbene sì, qui siamo così professionali da approcciarci con una certa dietrologia all’uscita di un titolo importante!) e ci si ritrova ad affrontare gli stessi, identici pattern dei nemici, senza attraversare nessun tipo di periodo di ambientamento e senza trovare alcuna differenza, è evidente che il problema è tangibile ed i passi avanti fatti sono pari quasi allo zero. Le uniche differenze sono infatti relative ai tipi completamente nuovi dei nemici. Un peccato.

Gearbox si salva però in calcio d’angolo presentandoci delle bossfight molto più sceniche, curate e concrete rispetto al passato, costituite da pattern complessi, suddivisione in fasi progressivamente più aggressive e ostiche, ed ovviamente cascate di proiettili, laseroni e sbrilluccichii. Una vera e propria valvola di sfogo per la concezione artistica spesso ad alto tasso di ignoranza (non ce ne vogliano, ma comunque hanno anche dei difetti) del team creativo di Gearbox.

Borderlands 3 – Recensione – Distruzione creativa

Una peculiarità di Borderlands è sempre stata quella di far corrispondere al suo stile irriverente e piacevolmente arrogante un impianto grafico fumettoso di prim’ordine, grazie ad un utilizzo del cell shading micidiale. Parliamo, anche in questo caso, del miglior cell shading in circolazione dopo quello di DragonBall Fighterz, che forse è semplicemente irraggiungibile ma che è applicato ad una visione ludica certamente meno estesa. I passi avanti fatti si notano soprattutto per la qualità delle animazioni oltre che per il sistema di luce ora più realistico.

Un lieve realismo, che in realtà permea un po’ tutto il titolo, lieve perché parliamo sempre di un titolo con nani kamikaze e razze aliene abominevoli, ma certamente più presente rispetto al passato. Le proporzioni di umanoidi e mostri sono maggiormente tendenti alle controparti reali o ad animali realmente esistenti. Un esempio lampante è lo psycho potenziato, un umanoide quasi gigantesco con spalle e testa sproporzionate in Borderlands 2, reso in questo capitolo pressoché indistinguibile dallo psycho normale. Sì, ho davvero usato “normale” come aggettivo per uno psycho.

Un lavoro di miglioramento e di pulizia generale comunque ottimo, senza rivoluzione alcuna, ma d’altronde è evidente come i titoli sviluppati con la tecnica del cell shading tendano a diventare graficamente obsoleti più lentamente rispetto ad altri.

Gearbox si è anche decisa ad offrirci la possibilità di personalizzare maggiormente lo stile del proprio avatar, aumentando il numero di copricapo e vestiti disponibili e permettendoci di personalizzarne il colore e la fantasia in modo più approfondito.

Perché l’assassinio su commissione è una cosa molto chic. Questi orpelli e gingilli estetici saranno acquistabili attraverso l’Eridium, accumulabile ora in quantità molto più generose.

 

Il suo vero nome è Pietro, è del '94 ed è appassionato di videogiochi e di altre forme di intrattenimento, come film e libri, soprattutto a tema fantascientifico. Insomma, il classico nerd ma senza il QI sopra la media. Si nutre di mele pixellose quasi ogni giorno, che di certo non gli levano il medico di torno.