Judgment – recensione di Edoardo “Edux” Babbini
Il 25 Giugno è finalmente sbarcato al di fuori dei lidi nipponici Judgment, spin-off della saga Yakuza sviluppato dal Ryū ga Gotoku Studio. Il team di sviluppo ha deciso di riportarci sì nella nostra amata Kamurocho, ma nei panni di un protagonista inedito circondato da comprimari mai apparsi nella saga principale. Anche la formula ludica, nonostante la struttura di fondo invariata, si presenta innovata, fresca e rifinita allo stesso tempo. Le premesse sembrano entusiasmanti, saranno le conclusioni alla loro altezza?
Judgment – Recensione – In dubio pro reo!
Takayuki Yagami, giovane e brillante avvocato, ottiene, contro ogni aspettativa, l’assoluzione del suo cliente dall’accusa di omicidio. Pochi giorni dopo l’uomo viene però arrestato per l’omicidio della propria ragazza, distruggendo la vita del nostro protagonista. Il giocatore si troverà quindi nei panni di uno Yagami invecchiato di tre anni e con una differente professione: il detective. Ancora tormentato dal suo errore ha abbondato la professione forense per aiutare il prossimo in vie alternative.
Da questa premessa narrativa si struttura un racconto articolato, sporco e viscerale. Ondeggiando tra le note di un noir-yakuza, un thriller giudiziario e un dramma di spionaggio industriale la storia terrà impegnato il giocatore per circa 35 ore . Gli avvenimenti e gli snodi narrativi sono di forte impatto tematico e narrativo e non danno fiato al giocatore. La voglia di procedere è costante e i tasselli del puzzle emergono a ritmo di colpi di scena ben pensati, intermezzi comici e brutali pugni nello stomaco. Sceneggiatura e narrazione si dimostrano quindi all’altezza delle migliori produzioni dello studio.
Di pregevole fattura è anche la componente tematica della storia. La moltitudine di personaggi e di situazioni presentate si presta infatti all’inserimento di molteplici temi e una loro approfondita disamina. Si accendono fin da subito i riflettori sulle più buie ombre del Giappone e Kamurocho diventa un cuore pulsante del quale mostrarne le ferite. Politica, sanità, malavita e giustizia sono prese di mira da una scrittura che mostra senza mezzi termini gli impatti che l’egoismo dei potenti ha ed è destinato ad avere su una società fittiziamente perfetta e incapace di accettare l’errore altrui. Tokyo è una bellissima maschera cerimoniale, ma Judgment decide di raccontare l’oni che la indossa.
Judgment – La mia vita a Kamurocho
La struttura ludica alla base del titolo rimane immutata: un action-adventure open world costellato di numerose attività principali e secondarie. Dopo poche ore dai titoli di testa ci sarà permesso di vagare liberamente per le strade e di interfacciarci con la frenetica vita della metropoli. Si può mangiare ai ristoranti o dilettarsi con minigiochi classici come le freccette e gli arcade o nuovi come la corsa dei droni. La quantità di queste attività risulta adatta alla longevità complessiva del titolo. In termini qualitativi i minigiochi sono divertenti, appaganti e offrono un ottimo grado di sfida.
Nello svolgere queste attività di svago ci sarà richiesto di aiutare gli abitanti di Kamurocho. Stringere nuove amicizie permetterà alla nostra reputazione di crescere. La reputazione è essenziale per accedere a nuove attività e per poter accedere alla maggior parte dei casi secondari. Questa meccanica vuole stimolare il giocatore a perdersi nella vita del quartiere ma, essendo alcuni compiti ripetitivi o poco ispirati, rischia di ottenere l’effetto contrario. Ciò impatta negativamente sull’esperienza complessiva perchè i casi secondari sono uno dei contenuti di punta della produzione e il giocatore volenteroso di scoprirli si troverà imbrigliato in siparietti inutili e non aggirabili in alcun modo.
Raggiunti i requisiti di reputazione e trama necessari sarà quindi possibile imbarcarsi in indagini accessorie al caso principale. Queste attività sono ben scritte e curate nei dettagli ma sporcate da un’eccessiva ripetitività delle azioni da compiere per portarle a termine. I casi secondari portano avanti le tematiche introdotte dalla trama principale e raccontano al giocatore problematiche persistenti e preponderanti nella società giapponese. Ciò rispecchia perfettamente l’intento più critico della produzione. Il giocatore è obbligato a guardare la matassa sotto il tappeto e non può ignorare il drammatico impatto che una quotidianità marcia può avere sulle persone che la vivono.
Judgment – Yagami, l’avvocato teppista!
Sul versante del gamplay il fiore all’occhiello della produzione resta il combat system. Gli stili padroneggiati dal protagonista sono esclusivamente due: Gru e Tigre. Il buon numero di combo, l’ottima interazione con l’ambiente circostante e le tecniche EX danno vita a scontri dinamici e molto scenici. La barra EX permette sia di attivare esilaranti e arroganti tecniche speciali sia di potenziare e mutare momentaneamente il nostro stile complessivo. Risulta però troppo semplicistico il netto dualismo tra gli stili. La Gru si dimostrerà infatti sempre e solo utile contro una moltitudine di nemici e la Tigre solo contro pochi o singoli avversari. Alla lunga ciò rende piatti gli scontri privi di rilevanza narrativa e gli incontri casuali per la città.
Tra una scazzottata e l’altra ci sarà richiesto di investigare. Le prove a noi necessarie possono essere raccolte in svariati modi. Il primo è quello delle sezioni in prima persona nelle quali dovremo analizzare l’ambiente circostante e trovare gli indizi a noi necessari. Questa meccanica è divertente e pienamente riuscita. Lo stesso non si può dire per i pedinamenti. Queste fasi sono infatti ripetitive, noiose, già viste e proposte in troppe occasioni. Divertenti e dinamici invece gli inseguimenti. Nonostante si risolvano in semplici quick time event spezzano ritmi di investigazione più dialogati e grazie un uso calibrato impattano positivamente sull’andamento generale.
Il giocatore si troverà inoltre spesso impegnato in sezioni di dialogo a scelta multipla. Queste fasi, seppur divertenti, ben scritte e dinamiche, hanno un problema di fondo. Non essendo prevista la possibilità di non ottenere certi indizi o di poter fallire i casi secondari le eventuali risposte sbagliate comportano esclusivamente il non guadagnare un bonus irrisorio di punti esperienza. Questa costante possibilità di rimediare all’errore annulla completamente la tensione in dialoghi dove un errore potrebbe costare delle vite. Si può quindi affermare l’inesistenza di un vero e proprio grado di sfida nello raccogliere prove e indizi.
Judgment – Di Dragon Engine e di altre frivolezze…
Sul versante tecnico il Ryū ga Gotoku Studio si affida nuovamente al suo Dragon Engine. Il motore actual-gen viene utilizzato per modellare in modo impeccabile i volti degli attori in carne ed ossa e riproporne l’espressività in gioco. Se nelle cut-scene i risultati sono impeccabili nelle sezioni di dialogo la qualità della mimica facciale e dell’espressività complessiva è altalenante. I protagonisti sono ben caratterizzati e curati nei dettagli mentre gli abitanti, i clienti e i nemici secondari presentano modelli e animazioni troppo semplicistici. La resa complessiva è sicuramente positiva e pregevole ma proprio per queste ragioni si percepisce fortemente il calo nelle situazioni aleatorie. Per quanto riguarda gli ambienti la resa generale è ottima mentre alcuni dettagli risultano poco curati.
Sul piano registico il lavoro svolto è impeccabile e pregno di virtuosismi. Nonostante una presenza corposa di caricamenti che spezzano il ritmo le sezioni chiave della storia sono messe in scena secondo le più alte regole del linguaggio cinematografico. La commistione tra stilemi giapponesi e un montaggio più europeo dona allo spettatore uno spettacolo visivo curato, emotivo ed emozionante. La regia è accompagnata da una fotografia che alterna luci calde e rilassanti a luci fredde e spietate. L’impatto di ciò sulle scene è tangibile e sottolinea egregiamente ciò che la narrazione o i dialoghi sono intenti a raccontare.
Il titolo presenta un doppiaggio originale in lingua giapponese e un doppiaggio in lingua inglese; entrambi ottimi e curati. Lo stesso non si può purtroppo dire per i sottotitoli in lingua italiana. Non parlo ovviamente di traduzione, bensì di resa complessiva di dialoghi ed esclamazioni. In primo luogo il linguaggio giuridico è confuso, male adattato alle situazioni su schermo e caratterizzato da usi gergali da parte di giudici e pubblici ministeri durante situazioni estremamente formali. In molte scene ciò che Yagami fa e ciò che Yagami dice non hanno correlazione e la resa complessiva dei dialoghi lascia molto a desiderare. Seppur irrilevante per il lavoro svolto dallo studio era però doveroso segnalare tali carenze.
Judgment – Recensione – Giustizia è fatta!
In conclusione è quindi doveroso sottolineare come Judgment sia molto più che uno spin-off della più celebre saga Yakuza. Il titolo mostra fin da subito un’anima unica e originale e costruisce un microcosmo dalle molteplici potenzialità narrative. Ci sia affeziona immediatamente ai caratteri che recitano in questo spettacolo tragicomico. L’accettazione del fallimento e dell’incapacità a essere perfetti quanto la società o la deontologia professionale vorrebbero è un baluardo narrativo maturo e attuale. Le umane incertezze del giocatore sono portate su schermo e dovrà fare i conti con ciò.
La scelta di portare su binari crudi e adulti la storia è, grazie anche a una costante vena comica che spezza i momenti altrimenti troppo duri, è vincente e regala al panorama videoludico attuale un’opera degna di nota. Il gioco è capace di appagare sia chi cerca tradizione sia chi cerca innovazione. Un connubio simile, al netto di qualche sbavatura, non può che risultare pienamente riuscito e dimostrare un’altra volta come i ragazzi dello studio Ryū ga Gotoku siano trai più talentuosi in circolazione. Judgment è quindi un tassello fondamentale per gli amanti del videogioco e si poggia senza alcuna difficoltà tra le vette del panorama PlayStation 4.
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