Resident Evil 7: Biohazard – Recensione

Resident Evil 7: Biohazard – Recensione – A spasso con Lara

Resident Evil 7: Biohazard è un videogioco survival horror sviluppato da Capcom, uscito per Microsoft Windows, PlayStation 4 e Xbox One (con la versione PlayStation 4 che include il supporto completo per PlayStation VR).

UN SURVIVAL HORROR ANNUNCIATO
C’è da fare una doverosa premessa: io sono una fan di vecchia data della serie Resident Evil ed ho approcciato Resident Evil 7: Biohazard con moderato entusiasmo, vi racconterò la mia personale esperienza nelle 10:40 ore di gioco che mi ci son volute per finire questo titolo.

Capcom aveva dichiarato più volte un ritorno al survival horror, ma dalla deriva action iniziata col quarto capitolo e culminata col sesto sembrava essere arrivati ad un punto di non ritorno.

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BENVENUTI IN FAMIGLIA
Le vicende di Resident Evil 7 cominciano con Ethan, un uomo che parte alla ricerca della moglie scomparsa da tre lunghi anni.

Proprio quando credeva di averla persa per sempre, riceve un video nel quale lei gli chiede aiuto e a quel punto decide di recarsi nel luogo indicato dalla moglie, la fattoria Baker.

Appena giunto sul posto, Ethan si rende subito conto che c’è qualcosa che non va e che l’allegra famigliola Baker nasconde oscuri e macabri segreti, per la serie: “se non so pazzi non ce li volemo”.

La cosa interessante è che la storia viene portata avanti su due binari: i momenti in cui controlliamo Ethan e i momenti in cui veniamo catapultati all’interno di alcuni filmati interattivi che si possono visionare con un videoregistratore, utilizzando le videocassette sparse per la casa.

Durante queste fasi si possono scoprire ulteriori dettagli sugli orrori avvenuti tra le mura fatiscenti di casa Baker, oltre ad individuare oggetti che in seguito potranno esserci utili con il nostro coraggioso Ethan.

Resident Evil 7: Biohazard fa un passo avanti anche sul fronte dei dialoghi, lasciando perdere lo stile che caratterizzava i capitoli precedenti. Documentandomi sul team di sviluppo del gioco ho scoperto che la storia porta per la prima volta la firma di un autore occidentale, Richard Pearsey, noto per il suo lavoro su F.E.A.R. e Spec Ops: The Line. La trama inoltre si regge tranquillamente sulle proprie gambe, anche se ha inevitabili, e piacevoli collegamenti con i suoi predecessori.

ANSIA!
Il grosso cambiamento che salta subito all’occhio è il passaggio dalla terza alla prima persona. Mentre si vivono le vicende attraverso gli occhi di Ethan, che scappa dagli inseguitori con la lentezza dell’ormai noto Alan Wake (aiutatemi), c’è la sensazione costante di essere braccati e il passaggio alla prima persona ha sicuramente portato l’immersione a un livello superiore.

Tra i corridoi di casa Baker c’è un certo senso di deja-vu, tra citazioni ed enigmi che strizzano l’occhio al primo Resident Evil. Anche la presenza pressante di papà Baker può essere considerata una citazione allo stalker per eccellenza, Nemesis di Resident Evil 3, magari adesso l’ho detta grossa ma concedetemela!

Torna di prepotenza l’ansia di non sapere ciò che si cela dietro l’angolo e gli incontri con le aberrazioni di casa Baker non sono mai impossibili da uccidere oppure evitare, ma i coccoloni sono assicurati.

Il ritmo di gioco torna ad essere molto più lento, come avveniva nei primi capitoli della serie. Si esplora stanza per stanza cercando di raccogliere tutto quello che si può e risolvendo enigmi non sempre immediatissimi da capire.

Ethan ha a disposizione tutta una serie di armi per cercare di non soccombere, ma le munizioni scarseggiano e non si può andare in giro a sparare a tutto ciò che si muove, a volte scappare è la cosa migliore da fare. Le munizioni si possono anche fabbricare, ma utilizzano in parte le stesse risorse con le quali si creano le sostanze mediche, quindi sta a noi decidere di volta in volta a cosa dare la priorità e come utilizzarle. Unite tutto questo ad un inventario limitato e capirete che una buona gestione degli oggetti è fondamentale.

Un piacevole ritorno è quello delle stanze di salvataggio che, anche questa volta, si riveleranno un posto sicuro, un luogo dove ho tirato grossi sospiri di sollievo, qui abbiamo un altro gradito ritorno, il baule, che ci consente di gestire il nostro inventario limitato depositando e ritirando oggetti.

Il sistema di salvataggio questa volta impiega dei mangiacassette, al posto delle macchine da scrivere dei primi Resident Evil, ma c’è anche un utile sistema di checkpoint.

Le cose si complicano di molto con la difficoltà “manicomio”, che si sblocca una volta finito il gioco, a meno che come me non avete pre-acquistato il gioco in anticipo. In questa modalità non solo i nemici sono più forti e resistenti, ma i salvataggi sono limitati e possibili solo se si dispone di un’audiocassetta per registrare i progressi. Anche la posizione degli oggetti subisce variazioni ed alcuni sono esclusivi proprio di questa difficoltà, questo lo so grazie al mio amico, Leopardus91 che lo ha giocato a questa difficoltà.

File e fotografie fungono infine da collezionabili, e forniscono un piacevole spaccato sugli avvenimenti inquietanti accaduti sul suolo della proprietà dei Baker. A questi si aggiungono delle monete antiche, che permettono di acquistare upgrade e un’arma speciale, a patto che si abbia la quantità richiesta! Io l’ho sbloccata troppo tardi, ma è anche vero che le munizioni trovate in giro si contavano sulle dita di una mano, accidenti!

SOTTO LA LENTE D’INGRANDIMENTO
Graficamente parlando, Resident Evil 7: Biohazard si presenta in una veste decisamente più realistica grazie al nuovo motore grafico creato appositamente per lui, il RE-Engine.

Ogni stanza è curata e convincente, dai legni marci alle viscide pareti dei sotterranei. I colori hanno toni realistici e non esagerati. Nel complesso il gioco si difende molto bene a livello grafico. Anche la famiglia di pazzi, i Baker sono folli ed orripilanti al punto giusto (io ho visto cose che voi umani non potete neanche immaginare).

Sotto il punto di vista del sonoro è stato fatto un lavoro impeccabile secondo me: tutto è affidato a rumori ambientali, la musica interviene solo ed unicamente quando ci sono determinate situazioni, il che aiuta a capire quando il pericolo è li in agguato!

L’atmosfera generale è ancora più apprezzabile con un paio di cuffie, che raccomando assolutamente per godere a pieno di questo titolo, in modo da poter cogliere anche il minimo scricchiolio.

L’intro del gioco è spettacolare: ”Go Tell Aunt Rhody” cantata da Jordan Reyne e Michael A. Levine.

A VOLTE RITORNANO
Direi che Capcom è riuscita a dare un sonoro schiaffo morale a tutti gli scettici che gridavano al flop solo perché Resident Evil 7: Biohazard ha rimescolato le carte, narrativamente e tecnicamente parlando, per la serie e per il genere, adeguandosi forse anche un po allo stile di titoli come Outlast dove la componente splatter è la protagonista indiscussa del gameplay, arti che si spezzano nettamente dal corpo del povero Ethan e che vengono rimessi al proprio posto semplicemente con una soluzione medica, forse questa è l’unica nota stonata, nel senso che, un arto non può funzionare senza un’intervento chirurgico serio, ma che cos’è!

Nonostante tutto, il nuovo capitolo non solo ce la fa alla grande come Survival Horror in termini di gameplay, ma segna in maniera definitiva un ritorno in grande stile e forse un nuovo punto di partenza, che rasenta quasi la perfezione. Inutile dire che lo dovete giocare assolutamente, perché solo giocandolo potrete riscoprire oppure scoprire, che uno dei titoli più altisonanti del mondo videoludico è tornato prepotentemente alla ribalta.

Citando un amico YouTuber (Wh1tegoat) che stimo per il suo “non avere peli sulla lingua”, definirei questo ritorno alla sua maniera: “Ribalta li serci, cava la breccia e trita l’asfalto”

Alessia Lara Padawan – Romana, youtuber, nerd fino al midollo, adora film, serieTV, cartoni animati ed è malata da anni di una grave forma di dipendenza dai videogames. Il suo motto è: “Se credi anche lontanamente che ne valga la pena… allora GIOCALO!”